Prof Marco Ponti
Docente di Economia dei trasporti
Politecnico di Milano
Introduzione di Pier Vito Antoniazzi
Corriamo volentieri il rischio di ripeterci ricordando che la Fabbrichetta è nata per rinnovare la scatola degli attrezzi necessaria per ragionare su Milano, anche con un occhio alle idee ed alle cose concrete da trasmettere al candidato sindaco della sinistra. Il tema del traffico è di portata tale da fare tremare le vene nei polsi, ma la sinistra ha saputo in passato affrontarlo in modo innovativo, a partire dai ragionamenti. Così tra il 1985 ed il 1990, quando in Consiglio Comunale la discussione a proposito del secondo referendum sul traffico (che voleva estendere ai bastioni il limite) venne drammaticamente cancellata e rinviata sine die a causa della morte durante l’ultima seduta consiliare di legislatura del socialdemocratico Cucchi. Così nel 1989, quando il primo allarme anti inquinamento venne lanciato a seguito dei lavori di una commissione coordinata da Bruno Ferrante, all’epoca capo di gabinetto del Prefetto Caruso. Per la prima volta un’amministrazione ammetteva l’esistenza del problema inquinamento, per di più in una città come Milano che “per antonomasia” non si può fermare. Dopo quella stagione innovativa il comune sull’argomento si è limitato a fare da comparsa, lasciando la scena in parte alla regione.
Chiediamo oggi a Marco Ponti, che studia da tempo i problemi del traffico, di darci il suo contributo per ragionare sui problemi del traffico a Milano, e su cosa aspetta la prossima amministrazione comunale.
Il problema traffico ha soluzioni, ma non ricette magiche: non c’è una misura unica che risolve tutto, ma una serie di misure parziali, anche pesanti per come possono incidere sulla vita dei cittadini, che vadano in una direzione unica, quella della riduzione complessiva del traffico cittadino.
Questo innanzi tutto perché Milano, come molte altre metropoli, soffre dell’effetto detto dei vasi comunicanti: se si ferma totalmente il traffico in centro, immediatamente si rende caotico il traffico in periferia, ed analogamente per l’inquinamento che ne consegue.
E’ anche vero che basta poco per ottenere dei risultati, magari piccoli, che pero devo essere stabilmente acquisiti per avere un effetto concreto e per evitare i vasi comunicanti. La stabilità degli effetti è il nocciolo del problema di qualunque misura di regolazione del traffico.
Ci sono anche aspetti sociali che inducono a non pensare a misure uniche e drastiche: non si può demonizzare il traffico generato da quanti arrivano ogni giorno in macchina dagli insediamenti urbani più o meno lontani dal centro cittadino, perché queste persone sono nella quasi totalità cittadini che, privi di alternative sostenibili, sono sfuggiti agli alti costi della città.
Una delle proposte comunque sul tappeto è quella del “road pricing”, e su questa la prossima amministrazione dovrà non solo lavorare, ma produrre risultati. In proposito si possono fare alcune asserzioni anche provocatorie: se seguissimo l’esempio di Londra a Milano i cittadini che usano il mezzo di trasporto pubblico potrebbero essere pagati invece di pagare il biglietto, e se ci limitassimo a quello francese, quei cittadini potrebbero semplicemente non pagare nulla. Questo perché i costi di esercizio delle aziende di Londra o Parigi sono enormemente inferiori a quelli nella nostra azienda municipalizzata, ed è doloroso a dirsi, principalmente per la componente di costo del personale. Non che i guidatori ATM abbiano stipendi principeschi, ma da un lato c’è una scarsa produttività dovuta alla scarsa efficienza del sistema del trasporto pubblico, e dall’altro sono stati innescati meccanismi corporativi tali che oggi in ATM guadagna di più chi lavora di meno. Ci sono incredibili residui di passato che si mischiano a nuove intolleranze, come il divieto di assumere nelle società di trasporti personale non di nazionalità italiana, ciò che preclude l’accesso a fasce di lavoratori a più basso reddito.
Per iniziare una spirale virtuosa, fatta di piccoli passi, con effetti stabili, potremmo spostarci rapidamente da una situazione vicina a quella del Cairo (con tutto il rispetto per la capitale egiziana) ad una più prossima a Stoccolma: basterebbe cambiare la politica delle sanzioni. Sui comportamenti scorretti, l’Economist ha recentemente definito Milano la capitale mondiale della sosta in doppia fila, ed un fondo di verità c’è. Il fatto certo è che per qual comportamento, la sosta in doppia fila, altrove, a partire dagli Stati Uniti, c’è certezza di sanzione. Da noi certezza di impunità, ma peggio di tenere un comportamento accettabile, ed economicamente vantaggioso: col basso numero di multe ricevute, parcheggia quotidianamente in seconda fila non costa più di un caffé al giorno. Se invece la sanzione fosse certa e il comportamento ci sarebbe un effetto di civiltà e di educazione, aggiustando inoltre il prezzo complessivo, perché aumenterebbe, in termini di multe o di spesa per parcheggio, la spesa complessiva di chi in città può o deve permettersi di entrare, a vantaggio di tutta la collettività. C’è il problema più vasto della sosta delle auto dei residenti, per il quale si calcola che ¼ delle auto siano parcheggiate in permanenza in divieto di sosta.
Il sindaco uscente ha ottenuto la nomina a Commissario straordinario per il traffico, sperando di affrancarsi dagli interessi di partito, ma poi non ha saputo resistere alle pressioni di Alleanza Nazionale che ha cavalcato la tigre del rifiuto della rigidità delle norme. Esempio lampante quello della restrizioni degli orari per le consegne ai commercianti, che sono state sì limitate ad uno specifico orario, ma con una riserva, con la quale sono fatte salve “le esigenze produttive o commerciali”, ovvero tutto. Ed infatti non ci sono più limitazioni.
Una delle cose più banali da fare sarebbe provvedere a ridisegnare l’arredo urbano, ad esempio facendo marciapiedi più alti, per evitare che le macchine ci salgano, e con corsie bene disegnate, rendendo evidente dove non è ammessa la sosta.
Misura altrettanto banale, ma di forte impatto, vietare completamente la sosta nelle aree ad almeno 30 metri dai semafori, perché l’efficienza complessiva del sistema dipende dal numero di auto che passano ad ogni tempo di verde.
Uno degli effetti combinati di tutte queste misure sarebbe quello di liberare il trasporto pubblico, che presenta tutta una serie di aspetti specifici su cui intervenire. Quello delle corsie riservate al mezzo pubblico è un argomento caldo: si potrebbe renderle fruibili per auto con almeno 3 persone a bordo, auto a basso impatto ambientale (elettriche) o semplicemente che paghino un ticket elevato, perché queste sono le leve del “road pricing”: il ricco paga per gli altri, e le tariffe contengono elementi di equità più forti dei divieti.
Parlando di mezzo pubblico, fra tram ed autobus ecologici la scelta se orientata solo economicamente non può che essere per l’autobus, perché il tram essendo anelastico ha bisogno di un sistema di protezione e supporto dei binari costoso. L’autobus ha rispetto al tram un costo infrastrutturale di circa ¼, ma senza essere legato ai binari serve più gente ed evita la cosiddetta “rottura di carico”, ovvero il cambio di mezzo, tipica del tram.
C’è il mito del ferro, inteso principalmente come treno, sul quale è bene non farsi illusioni: solo una piccola percentuale di utenti può essere realisticamente spostata dalla gomma al ferro, anche per i costi enormi delle infrastrutture necessarie, che rendono il nostro trasporto su ferro il più caro d’Europa.
Ed a questi altissimi costi corrispondono miglioramenti reali limitati, anche a fronte di potenzialità smisurate: la linea Milano – Torino sulla quale viaggiano oggi 28 treni semivuoti al giorno, avrà a linea completata una potenzialità di 350 treni al giorno. Che non sembra potrà essere sfruttata adeguatamente, rendendo l’enorme investimento davvero poco razionale.
Il mezzo pubblico e la politica dei trasporti sono in stretta relazione con quello della densità urbana e della rendita degli investimenti immobiliari: tornando alla fascia di popolazione che ha lasciato la città, per insediamenti urbani a prezzi più accessibili, l’arrivo di una linea metropolitana ha un effetto dirompente, creando nuove tensioni economiche e sociali in quegli insediamenti. Questo perché c’è una relazione problematica fra trasporti pubblici e densità:le alte densità facilitano l’efficienza dei mezzi pubblici, limitando la dispersione del trasporto, ma innescano processi di tensione sulla rendita immobiliare. In questo senso i vincoli facilitano la rendita, mentre il liberismo sfrenato in materia di trasporti, all’estremo farebbe crollare i prezzi.
Anche le metropolitane sono un ottimo modo di viaggiare in città, ma hanno un costo altissimo e investimenti di questo tipo non possono essere affrontati soltanto capitalizzando alcune proprietà comunali per fare cassa: è necessario un consenso sul livello di investimenti e sui progetti, che vanno comunicati alla popolazione, il cui consenso è necessario.
Il problema sta nel modello di vita che va in un’altra direzione, e non si tratta di fatto milanese: in Veneto è stato fatto un piano di trasporti ferroviari che avrebbero dovuto portare molti pendolari ad abbandonare l’auto, ma è stato il piano ad essere abbandonato dopo due anni, perché i treni continuavano a viaggiare vuoti negli orari di morta e ad essere insufficienti in quelli di punta. Non si deve poi dimenticare che il sistema ferroviario è fatto di monopoli (pubblici, semi pubblici e privati) non contendibili, che aggiungono alle aspettative dei loro azionisti quelle dei loro dipendenti, generando possibili tensioni sociali non secondarie.
Un nemico forte della politica dei piccoli passi stabili è proprio l’insieme delle corporazioni, che hanno una capacità di alzare la voce e di farsi ascoltare dalle istituzioni e dalla collettività, evidenziando i loro problemi a scapito di quelli di tutti. Oltre ai dipendenti dei monopoli, basti pensare ai commercianti.
Certamente sono da contare fra le misure da perseguire all’interno dei piccoli passi, le piste ciclabili, sulle quali anche io ho avuto dubbi in passato, ma l’esempio delle grandi città del nord è positivo, e quindi che siano piste vere e proprie, marciapiedi allargati o percorsi verdi, ben vengano.
Un’alternativa al “road pricing”, argomento trasversale in diverse misure possibili, è quello del “park pricing”, in particolare a Milano. Infatti Milano non è Londra, ha una conformazione urbana tale per cui il ticket avrebbe un forte impatto sociale. Fare invece pagare a tutti il parcheggio è economicamente più facile, anche se le controversie sugli aspetti giuridici ed il timore di reazioni sociali forti, non hanno fino ad oggi fatto fare passi significativi su questa strada.
Il parcheggio sotterraneo è un utile supporto alla politica della sosta regolamentata, anche se ci sono le resistenze degli urbanisti e se le esperienze non sono tutte positive.
Tutte queste misure si possono definire discriminazioni dei comportamenti: possono essere proposte a proposito delle emissioni, favorendo quindi la circolazione dei veicoli a basso impatto ambientale (euro 4 ecc.). Anche queste politiche hanno un impatto sociale, perché non si possono obbligare le categorie a basso reddito a cambiare auto, ma il risultato da conseguire è troppo importante a livello complessivo per farsi fermare da queste considerazioni.
Anche le dimensioni dei veicoli devono diventare una discriminante: lo spazio pubblico è un bene cui va dato il giusto valore, ed un SUV deve pagare più di una Smart, indipendentemente dal fatto che questa possa essere una quarta macchina.
All’interno di una politica di questo tipo anche la realizzazione di viabilità sotterranea con tunnel riservati alla circolazione delle auto, potrebbe essere parte del progetto, perché libera le strade, promuove una circolazione fluida e quindi meno inquinante in quanto libera dall’effetto “stop and go”. Inoltre la tecnologia relativa alla realizzazione e ventilazione dei tunnel ha fatto grandi passi avanti negli ultimi anni.
Un altro ausilio tecnologico importante può venire dal “transponder”, noto per la sua applicazione “telepass”, che ormai è un circuito integrato applicabile su di un foglio di carta, e se incollato sui vetri delle auto permette una serie di soluzioni attive (controllo degli accessi) e repressive (multe a tappeto), che potrebbe liberare risorse per costruire una contropartita fatta di servizi ai cittadini (parcheggi – corsie preferenziali – piste ciclabili).
Se il risultato delle misure combinate che l’amministrazione può mettere in campo sarà positivo, avremo nelle strade un numero ragionevole di veicoli, creando meno inquinamento, e allora si potrà orientare la politica alla fluidità, badando di evitare l’effetto dei vasi comunicanti, ovvero non liberare le strade per attirare nuove auto.
La continuità della giunta Albertini con i progetti conosciuti della candidata Moratti stanno proprio nel subire questa percentuale del 60% dei cittadini che scelgono l’auto, rispetto alla minoranza che sceglie il mezzo pubblico. Avendo chiaro l’obbiettivo di migliorare il trasporto pubblico di superficie, moderare il traffico e incentivare l’uso del treno, con i provvedimenti citati ed altri ancora si può riuscire nell’impresa di migliorare le condizioni del traffico.
Ci sono alcune parole d’ordine che si possono evocare, e che per gli urbanisti rappresentano contributi concreti alle politiche di modernizzazione del traffico urbano:
– intermodalità, nel senso di favorire gli scambi di mezzo al fine di rendere più fluido il sistema nel suo complesso
– informazione on line, per contrastare l’effetto vasi comunicanti dovuto ad ogni piccolo incidente ed inconveniente nella vita di ogni giorno, consentendo di non creare i tappi nella circolazione
– arrivare a porre un fine alla crescita esponenziale delle vetture in città, con il controllo da parte del comune che ad ogni nuova immatricolazione corrisponda un posto auto
– gestione attiva della politica dei taxi, dal taxi sharing come discriminante positiva accanto a quelle già evocate, e l’aumento del numero delle licenze con metodi che proteggano il valore delle licenze attualmente in essere
Nella politica di informazione un capitolo a parte va lasciato all’effetto annuncio: cambiamenti anche importanti e controversi non hanno possibilità di essere recepiti se non sono opportunamente e tempestivamente comunicati e spiegati ai cittadini.