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La Fabbrichetta

laboratorio politico aperto

lafabbrichetta

Antonio Monzeglio ARCI Ragazzi

September 30, 2015 By admin

Dal 1999 il 20 novembre è la giornata scelta dall’ONU quale “giornata dei bambini e dei ragazzi” sino a 18 anni, con un preciso riferimento ad una convenzione internazionale che è stata ratificata ad oggi da 184 nazioni (fra le eccezioni USA e Somalia).

A proposito di testi di legge, in Italia la legge 216 ha delimitato l’ambito della sicurezza dei bambini, sino alla legge 295 del 1997, legge Turco, che nasce anche dalla sollecitazione di Carlo Paglierini dell’ARCI Ragazzi, e sotto il titolo “Promozione dei diritti e delle opportunità”, stabilisce soprattutto una nuova metodologia, secondo la quale alle cautele protettive proprie della normativa sui minori, aggiunge anche funzioni attive di:
– protezione
– promozione della competenza
– partecipazione

In questo quadro diverse associazioni che si occupano di ragazzi hanno provato a guardare con gli occhi dei bambini la nostra città.
La prospettiva dei bambini, ad esempio sul traffico, è molto diversa da quella degli adulti, anzitutto per ovvi motivi di statura, per cui per loro le automobili sono effettivamente degli ostacoli incombenti. Va anche considerato che i bambini hanno una forma tutta particolare di trasversalità, ad esempio nell’essere mediatori culturali per le loro famiglie. Ci sono messaggi diretti ai genitori che vengono più agevolmente veicolati e con più efficacia, se fatti passare attraverso la mediazione dei ragazzi. E questo avviene in modo straordinario verso i genitori extra comunitari i cui ragazzi frequentano le scuole milanesi (35% del totale degli alunni) fornendo un veicolo privilegiato per la mediazione culturale verso le loro famiglie, nell’assenza di politiche integrative istituzionali.
Nell’ambito del rapporto fra bambini e traffico i progetti minimi risultano enormemente ambiziosi: basti pensare ai percorsi casa-scuola, un piccolo progetto che incontra ostacoli apparentemente insormontabili da parte delle autorità scolastiche e municipali. Tutto questo in una città che ogni giorno perde un pezzo dell’identità culturale più facile per i bambini: pensiamo al Lido che diventa “Infostrada Village”
A fronte di questa situazione le istituzioni sono ferme, ancorate ad una duplice mancanza di attivismo:
– i funzionari colpevoli ma non responsabili
– la politica responsabile ma non colpevole
e questo si traduce solo a Milano in 14 milioni di euro fermi in assenza di capacità progettuale e di spesa.

Con tutto il rispetto per gli anziani, attraverso una politica dei ragazzi si può costruire un modo di fare politica nuovo, che costruisca la città futura.

Proprio nell’ambito dell’imminente giornata dei bambini, il Comune di Milano fornirà uno spazio per un “question time” su traffico, piste ciclabili ed altro, all’insegna del motto “la serietà lasciamola ai bambini”.

Nella nuova amministrazione Provinciale di Milano la delega conservata in argomento dal Presidente Penati è un segnale di attenzione ed importanza, anche se in altre città importanti (Roma – Torino) ci sono dipartimenti specifici da tempo in funzione. Così come in Francia la legge ha da tempo istituito i consigli comunali dei ragazzi. Non si tratta di indurre i ragazzi a scimmiottare gli adulti ed i loro riti, ma di esperienze qualificanti che educhino alla democrazia partecipativa le giovani generazioni. A Milano dopo lo svolgimento di alcuni focus group, ci sarà una kermesse alla scuola del circo (Bastioni di Porta Volta).

In definitiva, così come avviene in questi giorni, la politica cerca di mettere il proprio cappello su iniziative che le sfuggono completamente. Si avverte in tutta la sua valenza lo slogan “una città che non c’è”, perché in assenza di riferimenti tradizionali (scuola – famiglia) niente e nessuno si fa avanti. Il tutto a fronte di un’offerta consumistica allettante anche quando respinge, come nel caso degli spettacoli televisivi con “bollino rosso”. Il consumismo è spesso l’unica offerta su piazza, con lo shopping in centro o nei centri commerciali delle periferie satellite. Così nelle proposte che ricevono i ragazzi non trovano indicazioni sulle buone pratiche possibili nella vita cittadina.

Le buone pratiche esistono e meritano di essere studiate e valorizzate. Esiste l’esempio di “mini Munchen”, un programma educativo che riproduce nei mesi estivi la vita cittadina , con le istituzioni formato baby ed un sindaco ragazzo; l’intero programma costa 180.000 € all’amministrazione comunale di Monaco di Baviera.
Questo tipo di iniziative sono già state replicate in molti piccoli centri, anche in Italia in Emilia Romagna, laddove la maggiore facilità di contatto fra amministratori e cittadini facilita la partecipazione.
La prospettiva è quella di creare una cultura che si basi sui ragazzi, per smuovere le scuole e le istituzioni. E’ il caso dei progetti di accompagnamento casa-scuola dei bambini in area metropolitana: a Milano esiste il caso della scuola Bottega – San Mamete, dove è stato creato un sistema di accompagnamento basato sul tutoraggio.

Purtroppo le attività relative ai bambini sono completamente ferme da parte delle nostre amministrazioni locali, tanto che anche l’istituzione del Difensore Civico Regionale dei bambini, è rimasto un annuncio cui non è stato dato un seguito.

A proposito della prospettiva dei bambini, se si fa con una telecamera una ripresa all’altezza di 70 cm, il risultato è triste: la fascia peggiore delle edicole, macchine che consistono di paraurti e tubi di scappamento, ma soprattutto tutto lo sporco della città che è molto più vicino ai bambini che agli adulti.

Questo brutto mondo cittadino è percepito dai bambini come normale, benché loro siano naturalmente portati al bello della campagna, della montagna, del mare. Però i bambini percepiscono una situazione di disagio verso questo loro mondo, ma senza avere gli strumenti per dissiparlo.

Un elemento che si può recuperare dalle esperienze del passato è quello della sanità, che in passato vedeva la scuola in prima fila nel campo della prevenzione, mentre oggi la redistribuzione delle competenze alla regione, via ASL e ospedali, ha scombinato le cose senza dare nuovi servizi. L’esempio macroscopico è quello dell’intervento psicologico, che è considerato argomento di medicina specialistica ed in quanto tale riservato agli ospedali, che sono del tutto assenti dal mondo della scuola. Il Comune deve tornare ad essere reale coordinatore delle politiche di prevenzione, perché il rapporto costo-risultato delle campagne di prevenzione veicolate dalla scuola è incomparabile con qualunque altro canale.
Il sostegno alla genitorialità è poi un campo di intervento molto ampio: non esistendo una scuola per diventare genitori, c’è un forte bisogno di supporto, cui mancano risposte istituzionali. La Regione Lombardia ha fatto una legge in favore della associazioni di genitori, che arriva anche a dare finanziamenti, ma non si tratta di interventi innovativi.

Tramite i bambini si può strumentalmente far risaltare alcuni problemi, in moda tale da farli emergere davanti agli occhi dei genitori: fare cento di metri di strada per i bambini, con aree di accesso alla scuola con sosta riservata negli orari di entrata ed uscita, coordinate da “mobility manager” all’interno delle scuole. Ecco una serie di servizi diretti ai bambini, ma che di fatto indicano ai grandi qualcosa che li riguarda direttamente: che una città senza auto è possibile. Si tratta di passare un tratto di evidenziatore sulla realtà.

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“MILANO e IL RUMORE”

September 30, 2015 By admin

Folco de Polzer – Libero Professionista – Tecnico Competente in Acustica Ambientale
 
Interventi di:
Piervito Antoniazzi
Caterinella Napoli
Luca Beltrami Gadola
Francesco Florulli

Alcuni spunti generali in materia di rumore a Milano, in quella Milano che è un caso limite della situazione “rumore”, perché se in altre città c’è un concreto rischio di blocco, a Milano la situazione è addirittura critica a cominciare dal rumore da traffico. Di fronte alla soluzione ideale, che sarebbe quella di spegnere il motore, ogni azione si arena, principalmente perché si è formata una cultura dell’utilizzo del mezzo privato che è dominante, e che finisce però per entrare in contraddizione con i fatti concreti.
Non ci sono troppe alternative su questo fronte: o si impedisce di fatto il traffico, oppure si trovano i modi di contrastare questa cultura dominante. La nostra situazione è esemplificata da un detto milanese degli anni cinquanta diceva che per una giovane sedotta e abbandonata era comunque meglio aver pianto su una spider che in tram. Altrettanto dovrebbe essere per il rumore.
Si dovrebbe forse mettere al centro del problema non il fattore negativo, l’automobile ma il fattore tendenzialmente positivo, ovvero il cittadino – elettore. Mettere quindi al primo posto il pedone, soggetto più fragile ed esposto, e re orientare il sistema semaforico che ha un equilibrio oggi orientato solo al flusso del traffico privato, ignorando spesso anche i mezzi pubblici, come è dimostrato dal mancato utilizzo del sistema di prenotazione semaforico installato per le tranvie. A seguire viene il ciclista, che deve essere portato a scendere in permanenza dal marciapiede, anche per evitare una guerra di poveri con i pedoni.

Altra importante sorgente di inquinamento acustico è data dai rumori cosiddetti civili, del tipo del rumore dei condizionatori d’aria.
Teoricamente la normativa italiana sur rumore è la più strutturata d’Europa, soprattutto a livello aziendale, laddove ogni tipo di attività economica in assoluto ha una regolamentazione specifica in relazione all’inquinamento acustico.
Restando comunque il traffico la principale sorgente di rumore, e tornando a Milano, si deve dire che il Comune di Milano è completamente inadempiente, non avendo ancora provveduto alla redazione del né del Piano di verifica né del Piano di risanamento, che avrebbe dovuto essere completato al più tardi entro quest’anno.
Il risanamento, che nasce soprattutto da interventi sulle strade, per una città come Milano è un impegno gigantesco se solo si pensi che il Comune di Milano ha una rete di 2.000 kms di strade, mentre la provincia di Milano nel suo insieme, senza capoluogo, ne ha solo 1.000.
In base alla normativa vigente si sarebbero dovuti seguire dei percorsi pre fissati, mentre a Milano tutto è stato affidato all’Agenzia per la mobilità, dotata di un budget di 4 milioni di euro, che dopo aver studiato un piano di zonizzazione acustica, lo ha messo in un cassetto, non senza avere aggiudicato una gara in merito del valore di 100 milioni. Troppo poco se si considera che una città come Verona, non solo più piccola, ma meno articolata di Milano, ne ha spesi quattro volte tanti, il che indica che c’è qualcosa che non va. Sembra soprattutto che manchi la volontà di applicare realmente gli strumenti esistenti.
Altrettanto difficile sembra ottenere il consenso sulle operazioni di risanamento, perché questo implica la modificazione di abitudini consolidate per fasce consistenti di cittadini. Quindi il consenso sulle operazioni di risanamento ha dei costi importanti, perché può scatenare una vera e propria rivolta di gruppi di cittadini colpiti dai provvedimenti nelle loro abitudini. O anche perché costa il tempo che è necessario per mettere in moto le opere necessarie avendo acquisito il consenso con una lunga opera di informazione e convincimento. Considerando che ogni spazio guadagnato presso una categoria, risulta in definitiva uno spazio tolto ad un’altra categoria di cittadini.
In definitiva, uscendo dall’ambito tecnico, qualunque proposta in questo ambito rischia di trasformarsi in un boomerang elettorale, perché è proprio toccando piccoli ma diffusi interessi che si metto a rischio fasce importanti di elettorato.
Il concetto tecnico e realistico di intervento concreto deve agire sugli orari di produzione dei rumori che siano in qualche modo governabili dall’amministrazione comunale, facilitando nei limiti del possibile l’inversione notte / giorno, per salvaguardare la funzione della notte come momento essenziale del riposo, nel quale il rumore risulta particolarmente malsano, oltre che fastidioso. Infatti dal punto di vista fisiologico la diminuzione della capacità di riposo ha un effetto negativo, e si deve cercare di non avere delle città che vivano h24, ma città in cui possano convivere civilmente anche dal punto di vita del rumore persone che vivono prevalentemente di giorno e persone che vivono prevalentemente di notte.
Ed insieme fare del tutto per realizzare misure concrete di riduzione del traffico automobilistico, ad esempio con la realizzazione delle isole ambientali di attraversamento e non di destinazione.

La normativa in materia si basa su di una legge quadro che risale al 1995 con una serie di deleghe al governo, che nelle sue successive formazioni degli ultimi dieci anni ha legiferato praticamente su tutte le materie oggetto di delega.
L’idea di fondo della normativa è che dal rumore discende una vera e propria patologia da rumore ambientale che sono causa di gravi disagi e forti costi sociali. Si deve considerare che tecnicamente le basse frequenze del rumore, il cosiddetto rumore di fondo, ha un ruolo importante nella formazione di stati ansiosi, che è incomparabile rispetto al rumore acuto ma limitato nel tempo.
Questo dipende dalla nostra memoria genetica, perché come il cane si appallottola perché ha nel suo DNA il senso di schiacciare l’erba, così per l’uomo il rumore è un pericolo cui si deve reagire. Il rumore in bassa frequenza finisce quindi per l’essere un pericolo costante, rispetto al quale non è possibile ottenere in alcun modo un effetto di copertura, né una funzione di tranquillante, come quando ci si trova in una casa posta su di un torrente, rumoroso ma non ansiogeno.
Dal punto di vista operativo agli enti locali oltre alla normativa di applicazione, spetta il controllo, con una collaborazione fra i vari livelli: ad esempio se un cittadino segnala un rumore molesto proveniente da un’azienda, lo segnala al Comune (vigilanza urbana) che trasmette la segnalazione all’Agenzia Regionale per l’Ambiente (ARPA). Questa fa una selezione delle segnalazioni, perché non può intervenire su tutto contemporaneamente, e quindi fa le ispezioni. Se ARPA riscontra una violazione della normativa, la segnala al Comune ed alla Procura della Repubblica, in quanto ci sono profili di rilevanza penale, ancorché sanabili con oblazione in via amministrativa.
Il Comune nel piano di zonizzazione decide i livelli sulla base di 6 classi stabilite a livello nazionale. Dal punto di vista urbanistico ogni intervento deve avere ad oggetto un’area il più vasta possibile, con una valutazione delle attività in essa prevalenti, non essendo possibile procedere per parcelle catastali.
Gli interventi sulle sorgenti di rumore possono essere vari: se prendiamo l’auto, la normativa ha di fatto progressivamente reso accettabile le emissioni, ma sono i comportamenti scorretti dei cittadini a causare problemi. Velocità e comportamenti sono i fattori essenziali: a Milano l’esempio del Ponte della Ghisolfa, con la limitazione della velocità diurna e l’eliminazione totale del traffico notturno, è un esempio evidente di questa realtà.

Il problema di fondo sta, come già accennato nella volontà reale di intervenire, e di intervenire con una visione complessiva dei problemi, che comprenda l’intero ciclo della vita urbana. Il mezzo potrebbe forse essere quello di convincere tutti (cittadini e amministratori) che un sistema ottimizzato di controllo del rumore fa costare meno la città.

Francesco Florulli Il problema delle misurazioni e degli investimenti necessari per renderle non solo operative ma anche credibili, è anche un problema di investimenti. Infatti se il costo di una centrale di rilevamento dell’inquinamento acustico (fonometro) è in sé non impossibile 18 – 20.000 € di costo fisso e non ripetibile, il costo variabile delle elaborazioni necessarie è al minimo intorno ai 2.500 € settimanali, ma può aumentare in misura significativa, perché per avere dei risultati scientificamente attendibili la stazione deve funzionare il più a lungo possibile.

Esistono alcune forme di rumore “ricorrenti” sulle quali si dovrebbe poter intervenire con sistemi di razionalizzazione delle attività che producono quegli specifici rumori: è il caso dei trituratori di vetro dell’AMSA, per i quali un diverso orario di lavoro potrebbe risolvere il problema in modo semplice e non troppo costoso, una volta adeguato i contratti di lavoro del personale dell’AMSA.

Esistono possibilità di incentivare l’eliminazione di fonti di inquinamento acustico, finanziando sistemi innovativi. E’ il caso dei condizionatori d’aria privati, che sono rumorosi, e spesso trasferiscono il disagio del caldo eliminato da un cittadino, su di un altro cittadino che acquisisce (involontariamente) il disagio del rumore prodotto. Se il Comune finanziasse la realizzazione di scambiatori di calore centralizzati nei condomini, che raccolgano l’acqua direttamente dalla falda , dopo il costo non elevato di scavo del pozzo, ci sarebbero importanti risparmi energetici, riduzione dell’inquinamento acustico che verrebbe concentrato in un’area ben difendibile delle parti comuni, e sinergie anche in materia di utilizzo dell’acqua.

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“DEMOCRAZIA CONDOMINIALE”

September 30, 2015 By admin

 ASSOCOND è un’associazione costituita nel 1987 da un gruppo di persone provenienti dall’esperienza del Sindacato Inquilini, decise a continuare la loro attività nel mutato scenario del “problema casa”. Infatti fino alla fine degli anni ottanta il centro del problema era il rapporto fra inquilino e proprietario, l’applicazione generalizzata della legge sull’equo canone (risalente al 1978) ha portato a:
– i vincoli posti al valore dei canoni ed alla durata dei contratti
– dismissione del patrimonio immobiliare mediante vendite frazionate da parte delle grandi imprese (enti pubblici – banche – assicurazioni)
– aumento del numero delle unità immobiliari lasciate sfitte dai piccoli proprietari, pur di non incorrere nelle rigidità della normativa dell’equo canone

Il fenomeno del “condominio”, tipico delle aree metropolitane, nasce dalla massa di vendite dovute a questa situazione, ed è diventato una peculiarità italiana, considerando che 80% degli italiani è proprietario della casa in cui abita (valore più alto in Europa).

La dimensione economica del fenomeno appare in tutta la sua importanza se si considera che i 10 milioni di appartamenti in condominio (dati ISTAT 2003), generano un giro d’affari di sole spese condominiali calcolabile in circa 25 miliardi di euro, ovvero l’equivalente di una manovra finanziaria annuale.

La situazione creata dalla legge sull’equo canone aveva anche cambiato la tipologia sociale del piccolo proprietario/condomino, sino a diventare un fenomeno di consumo, tale da orientare anche la decisione di ASSOCOND di operare non come associazione di piccoli proprietari, ma come associazione di consumatori. La situazione attuale infatti, oltre a vedere la diffusione della proprietà a soggetti sociali di tutti i tipi, con l’emergere dei problemi condensati nell’espressione “condominio multi razziale”, conosce aree di forte sofferenza sociale. Si tratta ad esempio del fenomeno dei molti condomini che faticano a pagare le spese condominiali e finiscono col vedersi l’appartamento messo all’asta per il recupero dei debiti col condominio. O ancora il fenomeno della cessione della nuda proprietà, unica possibilità per molti di continuare ad abitare nella propria casa.

A livello normativo il legislatore si era occupato molto, a partire dagli anni cinquanta, del rapporto fra proprietario ed inquilino, e poco di condominio. La normativa generale era rimasta, ed è ancora oggi, ferma ai 23 articoli (1117 – 1139) del codice civile del 1942, e solo questo fa capire come questa normativa sia oggi del tutto inadeguata. Anche perché la situazione descritta del dopo equo canone, ha portato anche a situazioni di assoluta ingestibilità, come quelle dei mega condomini, come il caso di un condominio formato da oltre 5.000 unità al Gratosoglio.

Diretta conseguenza della normativa inadeguata e del numero di neo – proprietari è l’elevatissima litigiosità tra condomini, spesso per argomenti assolutamente futili, come l’arredamento della parte comune costituita da un piccolo pianerottolo che divide due appartamenti, ed infatti le decisioni dei giudici avvengono più che altro sulla base dei principi del “buon padre di famiglia”. Il fatto che questa micro litigiosità implichi comunque delle somme che per i singoli possono essere significative, ed il fatto che il loro numero abbia indotto il Tribunale di Milano ad istituire una sezione specializzata, sono il sintomo della gravità e dell’ampiezza del disagio sociale che sta dentro i nostri condomini.

D’altronde se si parte dal presupposto che dopo la famiglia il condominio è la principale aggregazione sociale oggi esistente, si coglie l’importanza di questo vero spaccato della nostra società. Infatti è nei problemi condominiali che si possono cogliere i malesseri endemici della nostra società cittadina: dalla drammatica mancanza di comunicazione fra persone, al degrado delle proprietà comuni mentre nel contempo ognuno cerca di abbellire il proprio “particolare”. Visto che in altre nazioni europee, prima fra tutta la Germania, avviene esattamente il contrario, siamo di fronte ad un fenomeno tutto italiano, sul quale c’è molto da lavorare.

Altra area critica è quella dell’amministrazione: per problemi di tempo e per evitare i litigi, cresce il numero di coloro che si estraniano dalla gestione della cosa comune, che è lasciata alla buona volontà dei molti pensionati attivi che sono sempre presenti nel palazzo. Questa assenza dei condomini inizia già al momento dell’acquisto della casa, quando il rogito dà per letto ed approvato dal condomino il regolamento condominiale, che quasi sempre è stato invece predisposto dal costruttore al fine di riservarsi alcuni spazi per vendite successive e di aprire la strada ad un amministratore amico. Gli amministratori hanno mano libera in presenza di proprietari assenti o distratti e di una normativa talmente lacunosa da consentire loro di tenere la gestione per un biennio senza obbligo di rendiconto, e dell’assenza di obbligo di gestione bancaria per i conti del condominio separata dai conti propri dell’amministratore. La conseguenza è stata una successione di “buchi” creati da amministratori che hanno utilizzato i fondi dei condomini per investimenti andati male, o semplicemente li hanno distratti. A questo si spera che possa mettere riparo un disegno di legge in discussione in Parlamento, sul quale c’è pressione da parte delle associazioni degli amministratori.

In definitiva una situazione che dopo una crescita disordinata ha bisogno di interventi generali sulla normativa, m anche di un ripensamento creativo, per il quale l’iniziativa della “Fabbrichetta” è benvenuta.
(a seguito degli interventi dei partecipanti ha aggiunto)

La competenza legislativa su questa materia spetterebbe allo stato, ma c’è un ampio campo di attività per le amministrazioni comunali, che potrebbero trovare nel condominio un interlocutore che filtra gli interessi dei cittadini. Del resto a Milano questo è già accaduto ad esempio con le richieste presentate da un coordinamento spontaneo di condomini relativamente alla realizzazione della linea tranviaria per Rozzano. In generale il condominio può essere interlocutore dell’amministrazione comunale per:
– trasporti
– parcheggi
– viabilità: oltre al caso di Rozzano, c’è il precedente dell’iniziativa “biciclette in condominio” di “ciclhobby”
– utilizzo spazi: c’è infatti tutto l’ampio tema dell’utilizzo degli spazi comuni inutilizzati (guardiole ed altro) a fini sociali: asili, centri informazione ed assistenza
– gestione del verde pubblico confinante o inglobato nei condomini
– sicurezza.

Per la soluzione del problema della litigiosità la proposta di una camera arbitrale potrebbe avere, oltre alla valenza di ordine generale del risparmio di spese di giustizia, il vantaggio pratico di risolvere facilmente le liti. C’erano stati contatti in questo senso con la Camera Arbitrale presso la Camera di commercio, che ha esperienze in materia di contenzioso fra clienti e lavanderie ed altro, ma la Camera di commercio può istituzionalmente intervenire solo se una delle parti è un commerciante o comunque un’azienda, e non fra privati.

Gli interventi dei partecipanti hanno portato a delineare alcune proposte concrete sulle quali, evitando di volare troppo alto ai confini con l’utopia, si potrà lavorare per poter preparare un documento organico sull’argomento
1) definizione di un regolamento tipo di condominio, che metta le basi per una gestione dei condomini attenta alle esigenze dei proprietari – cittadini con una forte connotazione istituzionale (amministrazione comunale interlocutore) e politica (trasparenza e rapporti con il mondo della cooperazione)
2) recupero delle esperienze di “condominio solidale” , con l’intento di aprire una serie di possibilità di gestione del condominio che ne consentano una gestione più realmente connessa con le esigenze dei proprietari
3) studio della possibilità di facilitare l’allargamento delle esperienze dei “gruppi di acquisto” oggi limitate alle aziende, particolarmente in campo energetico, mettendo aggregazioni di condomini in condizione di discutere con i vari monopoli del settore (Italgas – AEM – Enel)
4) studiare la possibilità che il Comune si faccia promotore di una Camera Arbitrale dei litigi fra condomini, ponendosi come regolatore di quest’area di micro conflittualità sociale, questo potrebbe passare anche per la collaborazione con l’associazione MEDI.A.RE con cui già si stanno studiando forme di collaborazione
5) definire un sistema di interazione fra condomini e consigli di zona per la gestione del verde pubblico
6) approfondire i tentativi di connessione fra esigenze di categorie come gli studenti alla ricerca di piccole unità immobiliari, e i proprietari di case spesso semi vuote

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IL VERDE A MILANO (…E ALTROVE)

September 30, 2015 By admin

Non esiste un sistema di verde a Milano. Esistono pochi spazi verdi, episodici, senza identità ne connessione. Ma se diamo uno sguardo a Monaco, Francoforte, Parigi…la storia è tutta un’altra. Ci sono percorsi che collegano, funzioni che caratterizzano e danno identità. Ci sono piste ciclabili per spostarsi da un parco all’altro, ci sono viali alberati e persino “sopraelevate verdi”…
Di questo e di altro si discuterà martedì 10 p.v. a “La Fabbrichetta”, il centro di produzione di idee innovative per il governo di Milano, che da poco ha aperto i battenti al quartiere Isola-Garibaldi.
L’incontro sarà introdotto, con ampia documentazione di immagini in diapositiva, da Mario Allodi, architetto di giardini.
Con questo incontro La Fabbrichetta prosegue il suo lavoro di costruzione di pezzi di programma per una nuova amministrazione comunale.
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L’idea di questa conferenza è nata dalla richiesta di Piervito Antoniazzi di una discussione sui temi del verde a Milano. Il taglio che è stato dato è centrato più che altro su “altrove” per stimolare una riflessione sulla situazione attuale del verde nella nostra città.
In negativo quindi si cerca di analizzare alcuni aspetti delle potenzialità
– sistema del verde
– parcheggi sotterranei
– piste ciclabili
– recupero a verde di aree dimesse
che in qualche modo riprende le “quattro P” che sono la base di una politica del verde: parchi-parcheggi-pattumiere-piste ciclabili

1) il sistema del verde
non si può parlare di un sistema organico del verde a Milano, perché le realizzazioni a verde sono dei puri riempimenti, senza un progetto verde in una logica di sistema; l’ideale cui tende chi vive in modo radicale e assoluto il senso del verde cittadino è quello di arrivare ad avere una città/casa, nella quale i parchi siano le varie camere verdi, collegate da vie alberate che siano i corridoi verdi della casa; non si tratta di una visione teorica, come dimostrano le realizzazioni di città europee di dimensione simile, ma anche maggiore a quella di Milano. La visione di alcune diapositive permette di trarre alcuni spunti dai sistemi del verde che sono stati concretamente messi letteralmente in funzione, a disposizione dei cittadini di queste città che sono Monaco di Baviera, Francoforte, Stoccarda.
Monaco di Baviera, che è una città simile a Milano per dimensione e numero di abitanti, e le due città si sono anche date in tempi vicini due parchi (il Sempione a Milano e il Englische Garden a Monaco) di tipo tradizionale. A Monaco però c’è stata una importante evoluzione nella costruzione di aree verdi, con la creazione di una lunga spina verde che collega i quartieri della periferia sud della città con l’isola pedonale sul fiume Isar. La prima caratteristica che distingue nettamente questo percorso è l’utilizzo combinato di verde erbaceo, arbusti e piante, che denota non solo un minor timore che gli arbusti possano facilitare aggressioni o altro. Ma anche una migliore difesa delle piante che non rischiano di diventare dei posa cenare o dei cestini come spesso accade nella nostra città. In realtà da ogni punto di vista si può constatare un grande rispetto per l’arredo verde e di altro tipo, con una forte attenzione alla conservazione delle cose comuni.
Tutto il percorso è supportato da piste pedonali e ciclabili ben distinte, e queste ultime sono dotate di una specifica segnaletica, con indicazioni non mutuate dalla circolazione automobilistica. Nello snodarsi del percorso si trovano anche esempi di insediamenti contigui al verde, che permettono oltre alla fruizione diretta, anche un tipo tutto particolare di controllo sociale, grazie alla presenza costante degli abitanti ed alla comunione fra spazio pubblico e spazio privato.
Francoforte, ha un anello che circonda il centro, molto simile ai nostri bastioni, che sono connessi con un asse pedonalizzato centrale. Anche qui una pista ciclabile percorre tutto lo spazio verde, con dimensioni diverse a seconda della larghezza dei diversi punti dell’area; se la pista è mono direzionale è logico che possa essere più stretta; l’importante è che la pista abbia un’identità data dal modo in cui è realizzata e non solo dalla biciclettina dipinta per terra. Nel percorso sono realizzati spazi verdi di ridotte dimensioni, vivibili in una dimensione quasi domestica, astratti dal contesto urbano circostante, e dotati di una identità propria ben definita, e resa concreta da elementi come sculture e altri arredi specifici; anche la prospettiva non è trascurata, perché dagli spazi ci sono scorci e prospettive che arrivano alla dimensione più ampia della città. Tutto questo, alternando spazi verdi e spazi attrezzati, permette possibilità multiple di fruizione da parte del cittadino, ad esempio permettendo di godere del verde anche in giornate di pioggia.
Stoccarda: una lunga spina verde porta dal centro alla zona termale (Mineral Wasser); si parte da un giardino molto razionale grazie alla ripetizione di segni precisi (cerchi e quadrati), con una precisa attenzione alla relazione fra i prospetti degli edifici e lo spazio verde; andando dal centro verso la zona termale progressivamente aumenta la natura libera: le piante infatti contrariamente all’uso italiano sono prese nella forma libera della loro potenzialità decorativa; anche in questo caso ci sono aree attrezzate che comunque si inseriscono nella libertà del verde.

2) i parcheggi sotterranei
anche su questo argomento si può avere una posizione chiara e netta, a difesa di criteri assoluti di difesa e sviluppo del verde urbano; i motivi sono principalmente due: anzitutto i parcheggi sotterranei non danno un contributo significativo alla risoluzione del problema del traffico, perché portano numeri limitati di posti auto; ben altre soluzioni sotterranee di sistema sarebbero possibili, ma di tale ampiezza che ci vorrebbe una volontà politica molto difficile da realizzare;
ma soprattutto non convincono i parcheggi sotterranei per la falsità del verde appoggiato sopra l’enorme vaso costituito dalla struttura dei garage, coibentata a isolamento di tutta l’area; la falsità non è solo nella nostra testa, ma nei fatti, perché le piante appoggiate su quelle aree sono destinate a non vivere gli ottanta anni medi delle piante cittadine, perché circa ogni venti anni la coibentazione ha bisogno di manutenzione, e quindi il verde appoggiato deve essere completamente riposizionato, con tutti i problemi ed i costi che questo comporta; la città del resto ha bisogno di un insieme di piante giovani e vecchie, per consentire un ciclo funzionale delle piante corretto e completo a vantaggio dell’aria che tutti respiriamo;
infine c’è un elemento psicologico: la percezione della falsità del verde appoggiato sul parcheggio causa primo o poi un vero e proprio crollo emozionale nei confronti del verde per il cittadino; meglio sarebbe allora una scelta di pura e dichiarata falsità, come quella fatta a Parigi nel Parc Atlantique.
3) le piste ciclabili
la necessità di incentivare l’uso della bicicletta in alternativa all’automobile, e quindi delle piste ciclabili come strumento concreto, è un principio accettato da tempo, ma manca completamente la creatività nella realizzazione delle piste; una striscia di asfalto teoricamente riservata, come sezione della strada delle automobili è un concetto un po’ triste, ed infatti perdente;
oltre a inserire le piste ciclabili in un sistema verde (come già visto), sono possibili molti interventi, come fatto in molte città d’Europa, da Vienna ad Amsterdam a Zurigo; le diapositive illustrano alcuni esempi:
– le indicazioni specifiche per il ciclista
– la segnalazione fisica e cromatica del passo carrabile che interrompe la pista
– la penalizzazione del traffico automobilistico a vantaggio di quello ciclistico
– le “strade gioco”, strade secondarie nelle quali si dà prevalenza all’uso pedonale e ricreativo, con la creazione di spazi verdi che interrompono e canalizzano il traffico delle auto

4) recupero aree dimesse: 3 esempi parigini
la politica di recupero delle aree dimesse si concretizza solo se la volontà politica di farlo si esprime chiaramente a livello quantitativo (grandi dimensioni) e qualitativo (interventi articolati e ragionati); in questo senso negli anni la città di Parigi si è distinta per alcuni recuperi di grande pregio e dimensione:

4a) la “la promenade planté” ex rilevato ferroviario dimesso tra place de la Bastille ed il Parc de Bercy: la parte superiore è stata interamente piantumata ed attrezzata in modo vario a seconda delle larghezza della sezione (pergolati – tralicci – rampicanti); il pubblico ha diverse possibilità di accesso lungo la promenade, sia con scale che con ascensori; l’architettura è stata piegata ad uso della promenade, con l’uso di piante, topiate e libere,

4b) Parc Citroen: vecchia area industriale automobilistica, molto simile al nostro Portello, recuperata con un progetto molto articolato passato per un concorso internazionale; si basa su una serie di giardini tematici legati al colore che li domina, collegati ciascuno ad una serra sempre in tinta ed ad un pratone; un grande segno diagonale a collegare il perimetro ortogonale ed a chiudere il tutto due serre:
giardino nero-ipogeo, > verso il basso, iris neri
giardino bianco – epigeo > verso l’alto, fiori bianchi
il disegno del parco è di forte rigore logico, con l’uso dell’acqua a cucire fra loro gli spazi, ed anche con una fontana a superficie libera, con possibilità di attraversamento e gioco;

4c) Parc de la Villette: altra realizzazione molto complessa, progetto di lunga realizzazione nel tempo, con un maglio ortogonale cui si sovrappongono il verde ed i percorsi fatti proprio per interrompere la linea ortogonale; oltre alla parte puramente verde è collegata ad un forte elemento culturale: Città delle scienza, Città della Musica.
Ma anche una forte attenzione all’aspetto del gioco, non con realizzazioni tristi e banali, ma ad esempio con la bicicletta “land art”, piantata nel terreno, ma accessibile per diversi modi di gioco

Tutti questi esempi nelle quattro aree analizzate, confermano ampiamente che una volta definita come centrale per la politica cittadina la realizzazione di un “sistema verde”, non ci sono limiti alle realizzazioni possibili.
Gli spunti dati da quanto fatto all’estero non devono essere solo riprodotti, ma dimostrano che se c’è un progetto complessivo le idee concrete non sono un problema.
Gli interventi dei partecipanti hanno evidenziato come questo tema sia assolutamente centrale per la nostra attività, ed anzi tutti concordano sulla opportunità di approfondire anche in altri incontri.
Nel merito gli interventi hanno avuto per oggetto la distanza della realtà milanese dalle situazioni analizzate:
– Milano ha tutto per fare esperienze di questo genere, gli spazi, le risorse, le idee, ma è mancato ripetutamente da parte di quasi tutte le giunte degli ultimi venti anni la volontà di mettere interventi seri sul verde al servizio di un progetto politico complessivo
– Dobbiamo deplorare la mancanza di educazione politica trasversale fra governanti e governati
– Nella nostra città sono state perse una serie di occasioni di recupero, ultima e più clamorosa la Fiera, ma ci sono ancora tante opportunità, dalle aree demaniali delle caserme alle aree ex FF SS
– Le amministrazioni comunali oppongono a questi progetti la ricerca di un beneficio economico immediato, che verrebbe dal “fare cassa” consentendo la realizzazione di nuove aree fabbricabili a scapito del verde; oltre a non risolvere certo i problemi di bilancio con questa piccola cassa, non si dà nessuno slancio alla città in sé
– Non è assolutamente escluso che il recupero a verde delle aree non possa avvenire con un progetto complessivo che comprenda anche occasioni di sostenibilità economica dei progetti verdi, integrando verde e attività economiche
– E’ proprio del nostro progetto cercare di collegare le questioni di ampio respiro (il sistema verde – il recupero delle aree) con questioni di dettaglio ma importanti per la vita dei cittadini (gli spazi gioco – le piste ciclabili)

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“DIAMO UN NOME A MILANO”

September 30, 2015 By admin

Incontro a La Fabbrichetta via Pepe 38 (MM Garibaldi) – Giovedi 26 maggio 2005 alle ore 18.00
con STEFANO BOERI, docente del Politecnico di Milano.

Avvicinandosi elezioni amministrative riprendono sulla stampa i dibattiti su Milano, il suo passato recente, il suo presente incerto, il suo futuro roseo o catastrofico… Si parla di verde, di traffico,di disagio abitativo,di rilancio culturale… ma di cosa davvero si sta parlando? E’ un discorso generico che vale per qualsiasi città europea? Qual’è oggi l’anima di Milano? Cos’è lo specifico di questa città? Qual è il suo nome?

A partire dalla sua connotazione urbanistica, dalla sua presenza fisica proverà a suggerire qualche risposta Stefano Boeri, docente del Politecnico.

Prosegue con questo incontro il lavoro de La Fabbrichetta volto a rinnovare “la scatola degli attrezzi” della politica milanese e a costruire pezzi di un programma di governo innovativo per la città.
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Senza la pretesa di sviluppare un intervento sistematico, si può partire da una constatazione: oggi quasi sempre chi parla di politica della città di Milano lo fa in modo generico. Ci sono spunti su temi anche importanti, come la solidarietà, la politica sociale, ma si parla di Milano come di una città astratta. Verde, competitività, qualità della vita, sono termini che potrebbero essere utilizzati per tante altre città. Guardare Milano da milanese e anche tecnicamente da architetto e da urbanista, permette di cercare di capire se è possibile costruire un’immagine di sfondo della città, che sia aderente alla sua realtà.
Milano è una città unica, interessante, ricca di cose belle e brutte, spazi, comportamenti urbani, che possiamo pensare e memorizzare.
Propongo una triplice modalità di avvicinamento a Milano che renda possibile uno sguardo sulla città, ed insieme la faccia raccontare.

1) il primo sguardo riguarda il come esiste Milano oltre i suoi confini verso nord, verso quella zona che dalla Malpensa alla linea delle sorgive vede una serie di edifici in continuo, una successione di centri commerciali, autolavaggi,ecc. che costituiscono un corpo unico attaccato a Milano. Altre città europee (soprattutto Barcellona e Londra) hanno visto espansioni analoghe: l’area urbana a nord di Milano è costituita da una serie di piccoli centri che si sono accorpati, dove storicamente si sono insediate industrie di varie dimensioni, creando una netta differenza rispetto alla zona sud, nella quale ancora oggi è presente una realtà agricola.
In questa nebulosa ci sono altre due città: la prima è data dal sistema Sempione / Valle Olona, un insieme di centri urbani saldati, legati da un sistema di viabilità importante (le autostrade dei laghi – le ferrovie nord – le ferrovie dello stato), ricchi di una presenza industriale diffusa (anche se oggi spesso in crisi, come nel tessile), e dotati di importanti servizi propri (dalla università di Castellanza alla Malpensa) e che ha in fondo tentato(attraverso Bossi e la Lega) di darsi una auto-rappresentanza politica.
La seconda città della nebulosa è costituita dal sistema Brianza, sulla carta o dall’alto una grande foglia che da Lecco arriva fino a Monza, anche in questo caso con una storia industriale importante, una volontà di auto rappresentazione rispetto alle istituzioni (resa concreta da istituti vivi e forti come l’Associazione Industriali della Brianza o nuovi come la Provincia di Monza).
Milano, come città a partire dalla sua classe politica, non ha mai voluto riconoscere questa realtà, alternando nella sua “politica estera” verso i vicini criteri di diplomazia della superbia, a criteri puramente quantitativi e demografici, comunque volti a svilire gli interlocutori. Senza mai capire che il nocciolo della questione fra le diverse entità confinanti sta nei servizi e nei rapporti di scambio legati al sistema commerciale e formativo, che insieme Milano e la nebulosa nord formano.
Il fatto che Malpensa e la nuova Fiera siano al centro di questa realtà urbana nuova darà inevitabilmente un nuovo sviluppo a questa situazione, tutto da vedere e da governare.
2) secondo sguardo su Milano, utilizzando una scala più ridotta: entrando a Milano si entra in una seconda città, quella che si sviluppa intorno al sistema delle tangenziali, che portano ogni giorno in città 850.000 macchine. Si tratta di una colossale rotatoria sulla quale sono localizzati centri commerciali ed aree ricreative aperti sette giorni la settimana, ognuna con le sue ramificazioni periferiche (Nuova e vecchia Valassina – Seregno /Meda) o secondo assi che penetrano nel centro cittadino (da sud Corso Lodi sino a piazza Missori, da nord via Novara sino a corso Vercelli), che subiscono ogni giorno l’influenza del sistema delle tangenziali;
in questa visione la periferia non è tale perché lontana dal centro, ma perché vicina a questi enormi flussi di traffico che condizionano in modo decisivo tutta la vita locale, su questioni importanti come gli spazi verdi, il traffico, la qualità dell’aria che si respira. Ragionando su questa visione della città, bisogna parlare di un principio di cittadinanza che non è solo basato sulla residenzialità, perché ci sono tutta una serie di categorie di nuovi cittadini non residenti:
city user (come dice Guido Martinotti), ragazzi che bazzicano il centro storico, uomini d’affari, frequentatori del sistema moda, studenti. Si tratta di persone che entrano in città, usano il suo sistema e lo influenzano.

3) terzo ed ultimo sguardo, riguarda la città che sta dentro i confini amministrativi, che è diventata un arcipelago, nel quale convivono molti sotto sistemi: almeno tre città legate alla moda (Montenapoleone – porta Genova – via Bergamo / Fogazzaro) e deve far riflettere il fatto che se ne voglia creare una nuova per decreto sull’area Garibaldi –Repubblica; poi una cittadella giustizia, che ha determinato uno sviluppo specifico di tutta l’area intorno al Tribunale, con interi stabili occupati da uffici di avvocati; una città dello sport è San Siro, da piazza Lotto al Meazza.
Isole a propensione funzionale che formano un caleidoscopio, un arcipelago in cui le singole isole possono essere potenti: economicamente o per la loro capacità di relazione con isole analoghe fuori dai confini cittadini. Isole che tra loro non si parlano, come già avvenuto in passato per realtà aventi i loro spazio specifici (arte – industria etc.).

Queste tre visioni prese singolarmente non ci danno il significato compiuto della città, ma se le sovrapponiamo in un gioco di carta, otteniamo una rappresentazione più completa della realtà cittadina.
Se infatti pensiamo alla Scala 2, presa a sé stante può essere una realizzazione buona o cattiva a seconda di generiche prese di posizione. Ma se la vediamo inserita nel sistema della nebulosa nord, posizionata a poche centinaia di metri dal sistema delle tangenziali lungo l’asse che da Sesto San Giovanni arriva alla Stazione Centrale nel centro, ed inserita nella nuova cittadella del sapere e del terziario che è la Bicocca, abbiamo una lettura del tutto diversa della Scala 2.

Si tratta di ripensare, o meglio di pensare per la prima volta ad una “politica estera” del comune di Milano, che non tema gli interlocutori esterni, con cui anzi dovrà necessariamente discutere alla pari per poter affrontare i problemi della città.

Ci sono altre città da difendere: prime fra tutte quella degli anziani e quella dei bambini, che hanno bisogno di recuperare gli spazi e compensare la mancanza di vuoti che si avverte a Milano. Le occasioni perdute, a partire da quelle dei 17 milioni di metri quadri di aree dimesse censiti nel 1985, ed oggi male occupati nella quasi totalità, al progetto Città della Moda che non coinvolge i cittadini al Garibaldi – Repubblica. Studiando come recuperare queste città c’ è ancora uno spazio notevole per raggiungere risultati apprezzabili.

La politica dei partiti sembra in questo senso proporsi ancora come un passaggio obbligato, senza e contro il quale sembra essere impossibile anche solo fermare un progetto suicida, come quello della riqualificazione di piazza Schiavone alla Bovisa. Ma è anche vero che proprio il percorso della Fabbrichetta è partito dalla considerazione che i partiti devono esistere e fare il loro mestiere, a noi di prospettare vie nuove e di fare sentire a quel sistema la nostra voce e le nostre proposte.

Certo le esperienze di tutti convergono nel segnalare che l’amministrazione così come esiste non ascolta i cittadini, favorita anche da un sistema che premia in modo esagerato la maggioranza, lasciando l’opposizione completamente sprovvista di risorse. Così mentre la giunta commissiona studi miliardari, l’opposizione fa fatica a collezionare i dati necessari a capire la realtà.

La classe politica espressa in città negli ultimi 15 anni non si cura per niente di sfruttare le potenzialità di elaborazione fornite dall’università e dagli altri centri di produzione delle proposte, la classe politica non sa farsi committente che di progetti mirati, spesso orientati a fare cassa. La capacità di ascolto è quindi quella di un ceto politico che non può recepire sistemi più complessi di quelli che deve poi governare.

Tutto questo lascia una città che in termine di stile di vita è nella retroguardia in Europa, nella quale tutti si adeguano cercando una strada negli eccessi normativi esistenti. Il sistema finisce per orientarsi da solo, e appena si trova una breccia ci si infila per determinare il cambiamento. Non è più possibile rifarsi a cose come il “Piano del commercio”, ma si deve trovare il modo di liberare le iniziative che lascino emergere le specificità dei soggetti. Ad esempio se l’imprenditore edile fosse davvero tale e non anzi tutto uno speculatore immobiliare, potremmo liberare quei modelli di impresa che non misurano le loro realizzazioni in metri cubi, ma in qualità complessiva dell’opera realizzata.

In questo senso 500.000 mq di mansarde autorizzate negli ultimi cinque anni, significano 15.000 abitanti in più a Milano, ma chi fa il conto dei 500.000 abitanti che nel frattempo ha perso Milano? Chi, essendo impossibile governare, questo che è stato un vero proprio fenomeno di emigrazione per Milano, ha cercato di verificare che fine hanno fatto i vani abitativi nei quali risiedevano?
Le ultime proposte da parte dell’amministrazione comunale risalgono alla giunta Formentini, quando l’assessore Serri, al verificarsi di alcuni parametri verificabili, ipotizzava un premio di qualità in termini di volumetrie supplementari. Gli immobiliaristi si allinearono nel boicottare quelle proposte, salvo contendersi gli effetti a colpi di mazzette.

Una delle decisioni cui un’analisi del sistema città dovrà portare sarà quella dell’eventuale pedaggio per la circolazione in città, che è possibile, ma che passa per una serie di criteri (quali sono i confini) e di conflitti (con i centri maggiori dell’hinterland) che vanno preventivamente studiati ed avviati a soluzione prima di emanare la normativa.

Di certo il Comune di Milano deve recuperare quella che è stata una delle sue caratteristiche storiche per tutto il novecento e gran parte dell’ottocento, ovvero di essere dalla parte dei cittadini. Questo rapporto perso, che si coglie ben nel passaggio dal “ghisa” alla “polizia municipale”, può e deve essere rivisto e cementato con fatti concreti di collaborazione.

La tendenza alla nostalgia non deve comunque essere un fatto negativo, come riferimento ad un modello di città ormai sorpassato, ma essere di guida in un percorso della memoria, che consenta ai singoli cittadini di recuperare le motivazioni delle trasformazioni che subiscono, e sulle quali possono essere chiamati anche a decidere.

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“Energia, telecomunicazioni, informatica: accesso di cittadinanza, rete civica, riuso delle reti…”

September 30, 2015 By admin

In apertura Pier Vito Antoniazzi presentando il relatore ricorda un episodio esemplare. Nell’estate dell’84,Antoniazzi stesso e l’attuale senatore Cortiana a casa di Zampariolo,valutarono la “necessità/opportunità” (in un quadro allora bloccato,il muro non era ancora caduto…) di dare vita a Milano per le amministrative dell’85 alla novità dei Verdi. La piattaforma che si elaborò (per il solo fatto di pensare in modo innovativo e globale alla città!), il riuso delle aree dimesse ed il 50% a verde, la città da cablare, la limitazione del traffico,ecc. ha determinato le scelte degli ultimi venti anni…
“Eravamo tre amici al bar…” inizia Hermann, che intendevano far politica per incidere,”per vincere”. E se oggi Milano è la città più cablata d’Italia e se l’AEM ha tratto 600 miliardi di vecchie lire di plusvalenza da questo (più altri 250 quando ha rivenduto le sue quote a Fastweb) è anche perché uno come me espresso dai Verdi nel Cda dell’AEM ha insistito ogni riunione sui “tritubi” quelle condotte che oggi portano ovunque in città la banda larga.
Questione che la sinistra guarda sempre un po’ con sospetto: tutto questo costruttivismo non sarà roba da ingegneri,da capitalisti,di destra? Come figlio di profughi,figli di profughi, o crescevo zingaro o internazionalista. E così è stato. Se una tecnologia funziona qui,può funzionare anche nel 3° mondo…
Non possiamo dare al Sud del mondo le tv in bianco e nero..
Lenin interrogato su come si potesse riassumere il primo stadio del socialismo in Russia disse la celebre frase: “Elettrificazione più i Soviet”. Bisognerà rivederla,ma c’è oggi qualcuno in grado di fare una nuova sintesi così?
Negli ultimi 10 anni si è assistito in Italia ad un mito ed una realtà di privatizzazioni sfrenate. Dallo Stato che produceva anche panettoni o auto,si è passati di peso a “niente Stato”. Lo Stato può fare di più. L’elettricità pubblica fu una grande riforma (insieme a poche altre) del primo storico centro-sinistra (e Riccardo Lombardi che era ingegnere la citava per prima..). Oggi nell’ubriacatura di privatizzare si perdono di vista alcune coordinate. Qual è il paese della “peggio energia” (blackout,costi elevati,ecc.) ? La “privata” California. Qual è il paese della “meglio energia” (meno costosa,più diffusa,ecc.)? La interamente pubblica Francia.
Oggi l’ENEL controlla ancora quasi tutto. Ma fra poco “molla”.
Nel frattempo non si sono fatti più “piani energetici”. Si è abbandonato il nucleare e ne sono contento (nessuno ha fatto altre centrali nel mondo occidentale), ma non si sono cercate alternative più compatibili. Il gas va indietro,il carbone pulito è stato abbandonato. Il nostro eolico è 1/6 di quello tedesco. Il solare italiano è 1/4 della piccola e non particolarmente assolata Austria. Ma quello che è il massimo è che 2/3 del solare italiano è in Trentino-Alto Adige. Non si è andati avanti con il teleriscaldamento (solo Brescia e Cremona hanno fatto). Nessuno mi toglie dalla mente che quando “mani pulite” si rivolse all’AEM di Milano,chi soffiava dietro erano i petrolieri che non volevano la metanizzazione.
Comunque si può cogliere da questa situazione almeno un dato da sfruttare in positivo. La liberalizzazione del mercato dell’energia e delle telecomunicazioni può sviluppare autonomie periferiche più attente alle esigenze del territorio, più qualificate.
Come è noto il problema dell’energia elettrica è che non può essere accumulata “a riserva”. Dunque si finisce per fare impianti grandi per avere il massimo della potenza anche se serve solo in certi momenti. L’elettricità ha un costo diverso a seconda dell’ora e della stagione. Ma allora perché non intervenire sulla domanda?
Esempio: se un frigorifero si interfacciasse con l’offerta di energia così da decidere di consumare di meno quando questa costa di più ? Con strumenti informatici di feed-back sarebbe fattibile abbastanza semplicemente.
E dove farlo se non a Milano, la città più cablata,con la terza azienda elettrica del paese, con il più alto tasso di inquinamento?
Guadagnerebbe l’AEM, guadagnerebbero i consumatori,guadagnerebbe l’ambiente !
Bologna ha utilizzato le fogne per far passare il “tritubo”… E qui il Consorzio Acqua Potabile non potrebbe migliorare le sue condotte ed intanto far accedere alla banda larga l’hinterland milanese? Ci sono a Milano 5500 cabine elettriche: che farne?
Potrebbero essere snodi per una illuminazione intelligente (che oggi non c’è).
Potrebbero essere punti di accesso gratuito alle telecomunicazioni, “fontanelle” che invece di dare l’acqua a tutti come ha fatto il socialismo municipale dell’inizio secolo XX, diano a tutti il diritto d’accesso alla rete. “Le fontanelle informatiche” dovrebbero consentire “l’accesso di cittadinanza” all’informazione e comunicazione.
Oggi per un’antenna sul tetto si paga anche 25.000 euro di canone.
E se mettessimo la nuova generazione di antenne (grandi come una penna stilografica) sui lampioni ? Eviteremmo parecchio inquinamento elettromagnetico ed anche estetico. Acqua-gas-elettricità-cabine: occorre un uso coordinato delle reti.
Poiche oggi è possibile interloquire intelligentemente con tutte le macchine oltre che con le persone. Da esami medici come elettrocardiogramma o prova della pressione,al frigorifero o la lavatrice o la caldaia, dai sensori ambientali agli interruttori.
Poiché è “il vagone più lento che fa la velocità” attenzione a non lasciare indietro troppi vagoni…
Esempio: come è noto la principale azienda italiana di informatica aveva sede ad Ivrea; bene,il canavese (la zona circostante) non è cablato!! Per finire uno sguardo al mondo.. Altro esempio: in Indonesia ci sono 35 milioni di persone che hanno chiesto di avere un telefono. Per darglielo bisognerebbe investire 35 miliardi di dollari: dubito che qualcuno glieli impresterà. Se però abbinano l’investimento per portare l’elettricità a quello per il telefono (con una rete unica) forse troveranno i finanziamenti.
Ricordiamoci sempre che ci sono al mondo 3 miliardi di persone che non hanno mai fatto una telefonata (a proposito di diritti di cittadinanza).
Infine un progetto utopistico: mettere in rete Gerusalemme est (araba) con tecnologia israeliana. Un passo per la pace?

Segue discussione dalla quale emergono alcune osservazioni e proposte.
In particolare:
-una critica dello “sviluppismo” come mito di un progresso senza limiti;
-l’ipotesi che i condomini (come nuovo soggetto collettivo) diventino gruppo di acquisto/consumatore collettivo di energia e telecomunicazioni capaci di condizionare in senso più intelligente ed ecocompatibile l’offerta liberalizzata che dal 2006 dovrebbe essere una realtà;
-la rinnovata attualità di quell’esperienza di incontro tra cultura tecnica,spirito umanitario e passione civile e politica che fu il socialismo municipale milanese (per esempio nella figura del sindaco Caldara 1914-1920) che fece nascere tra l’altro istituzioni come l’AEM, le scuole comunali di formazione, strutture sanitarie ed igeniche,ecc.

**Hermann Zampariolo ,già fondatore dei Verdi milanesi e di Legambiente, già consigliere d’amministrazione AEM , già dirigente a Parigi di IBM Europe e società di Vivendi, oggi Presidente di iLight, un Consorzio di telecomunicazioni italo-israeliano.

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Perché abbiamo perso ? Analisi della campagna elettorale per le elezioni comunali svolta da Walter Marossi

September 30, 2015 By admin

a LA FABBRICHETTA , giovedì 8 giugno 2006

La campagna elettorale era iniziata nel migliore dei modi:
1) un candidato per la prima volta autorevole e conosciuto
2) che partiva con largo anticipo
3) che veniva legittimato dalle primarie a larga maggioranza e senza grandi lacerazioni
4) che godeva del consenso di settori significativi di quello che è chiamato terzismo
5) cui veniva permesso di preparare una propria lista per pescare in settori diversi da quelli della sinistra e di formulare un programma con ampia autonomia

La strategia di Ferrante appare anche abbastanza semplice:
1) riportare al voto l’elettorato che si era astenuto alle regionali
2) ridurre il gap tra liste e candidato che aveva caratterizzato la campagna di antoniazzi
3) conquistare l’elettorato moderato d’opinione su cui il prefetto poteva certo fare maggior presa del sindacalista
4) sfruttare le condizioni di relativa difficoltà dell’avversario appesantito da una confusa gestione del ministero e appiattito su posizioni cattomoderate in materia di scuola e assistenza in una città tradizionalmente più laica della sua classe politica

Non è certamente una partita in discesa ma per la prima volta appare possibile la vittoria. Eppure si perde e si perde pure male.
Perché male?
solo un anno fa alle regionali con lo stesso numero di elettori (alle regionali votarono 680782 elettori alle comunali 680061 quindi i raffronti una volta tanto sono coerenti) Sarfatti prese il 47,89% di voti cioè quasi un punto in più di Ferrante, mentre la coalizione si fermò al 44,39 contro il 44,54 delle comunali, va tuttavia ricordato che alle comunali con Ferrante si schierava anche il partito radicale che alle regionali non era nella coalizione.
In un anno si perde quasi un punto percentuale ma soprattutto in una elezione fortemente caratterizzata dalla candidatura del sindaco diminuisce drasticamente, circa il 50%, il numero di elettori che vota solo il candidato.
La Lombardia tra l’altro lo scorso anno era stata la regione italiana con la più alta percentuale di voti solo al presidente.
Come a dire che Ferrante non solo non fa la differenza ma la fa meno di Sarfatti.
E questo quando il suo competitor è meno popolare della sua coalizione
Il risultato della coalizione, a parità di componenti, è più basso delle due elezioni politiche precedenti, ed è di pochi decimali superiore (sempre accorpando i voti delle liste in modo il più possibile omogeneo) a quello delle comunali del 2001.
Delle provinciali e delle europee è più difficile parlare perché i sistemi elettorali e le caratteristiche di quelle competizioni erano troppo diverse per numero di candidati e per tipologia delle coalizioni, tuttavia non mi pare che il saldo di queste comunali sia positivo, riaggregando i dati

Di più il numero degli astenuti comparando elezioni politiche e comunali vede un saldo negativo del centro sinistra di circa 15000 elettori.
In sostanza non solo non si riesce a spostare segmenti di elettorato moderato ma non si riesce neppure a riportare al voto quegli stessi cittadini che si erano mobilitati solo due mesi prima.
La campagna non convince quindi i moderati ma neppure il complesso dei cittadini che vogliono liberarsi del berlusconismo, anzi pare non convincere neppure a sinistra. Infatti storicamente alle elezioni milanesi più alto è il tasso di astensione più pesano percentualmente i voti della sinistra radicale, qui avviene il contrario con un numero di elettori pari a quello dello scorso anno il peso della sinistra radicale si riduce percentualmente.
In sostanza Ferrante non recupera a destra neppure i voti dei partiti che si aggregano per la primavolta alla coalizione (basti pensare che la rosa nel pugno tra politiche e comunali perde quasi tre quarti dei voti) e perde qualche cosa a sinistra probabilmente verso l’astensione.
Perche?
Avere certezze il giorno dopo le elezioni è abbastanza semplice, basta usare il bartaliano “gli è tutto sbagliato gli è tutto da rifare” e si è a posto, tuttavia alcune osservazioni si possono fare anche senza un’analisi approfondita che richiede tempo:
1) il profilo del candidato, che in una campagna presidenziale è fondamentale, non è emerso. la sensazione trasmessa è stata quella di un buon mediatore ma indeciso
2) il profilo programmatico della coalizione è stato ambiguo, cosicchè un elettore moderato poteva pensarlo caratterizzato dai no dei settori più radicali (primo fra tutti Fo) ed un elettore più radicale poteva vederlo come compromissorio, in altre parole non era ne carne ne pesce. Più ancora non si è capito a chi si rivolgeva come ha detto Morganti ci si è rivolti di più ai taxisti che agli utenti di taxi (certamente più numerosi)
3) la lista del candidato non è stata una lista di incursione in terreni altrui o inesplorati ma una lista contenitore, addirittura con due dei suoi competitor alle primarie (che difatti hanno preso cadauno qualche centinaio di voti in meno di quelli delle primarie); tanto più che notoriamente più liste ci sono alle elezioni comunali più voti (magari pochi) si prendono
4) l’elettorato d’opinione non si è mosso. Qui occorre fare una precisazione, nelle analisi degli anni ‘70 , l’elettorato d’opinione urbano veniva identificato con un ceto medio colto ed informato che sceglieva in funzione dei programmi in genere all’interno dello schieramento laico. Oggi probabilmente bisogna intendere per elettorato d’opinione quello che non legge i giornali, che sta più nella periferia che nel centro della città e che si forma le proprie convinzioni politiche fondamentalmente attraverso la televisione, il passa parola e la comunicazione dei candidati in campagna elettorale. E’ un elettorato che spesso decide all’ultimo minuto.
5) Ebbene la mia sensazione è che la campagna del centro sinistra sia stata qualitativamente molto inferiore a quella del centro destra, una comunicazione tutta autoreferenziale molto pubblicitaria e poco elettorale (che ha portato ad esempio ad utilizzare principalmente, come ha detto Penati, il manifesto Ferrante, Cornacchione, Zelig con un ammiccamento tutto da capire).
6) La ragione della differenza tra la campagna della Moratti e quella di Ferrante è solo economica? Non credo: si possono fare campagne anche povere ma efficaci, bisogna però adeguare gli strumenti ai mezzi economici. Tuttavia è vero che per una campagna tradizionale a Milano ci vuole all’incirca un milione e mezzo di euro, ora considerando che si è partiti a novembre che alle primarie hanno votato oltre 80000 elettori, che tra candidati al comune ed alle zone erano in pista più di duemila persone non mi pare una cifra irraggiungibile.
7) l’avversario non è mai stato messo in difficoltà, per usare termini calcistici gli si è lasciato fare il gioco che voleva, gli si è lasciato il controllo della palla, non si è fatto pressing. Così Letizia Moratti è riuscita a cambiare due otre volte linea e soprattutto ad accreditarsi via via con una immagine accattivante quale non aveva all’inizio. Certamente su questo ha influito anche il comportamento esemplare di Albertini che è uscito di scena con estrema dignità, dando un contributo fondamentale con la sua presenza/assenza alla campagna della Moratti
8) Il centro sinistra è supponente,continua a ritenere il centro destra ed in particolare Forza Italia un partito di parvenue privo di classe dirigente, come se non amministrasse questa città e questa regione da più di un decennio, la sottovalutazione dell’avversario porta poi ad equivoci sostanziali come dare per schierato un elettorato popolare che non c’è, o per lo meno non c’è nella misura ipotizzata, porta a credere ad uno zoccolo duro che è in realtà molto minore, porta a credere ad una rete di militanti e di movimenti a sostegno che in realtà è molto più teorica che reale. Del resto le preferenze prese dai protagonisti dell’associazionismo “politico” e della cosiddetta società civile sono li a spiegare bene pesi e misure reali.

Per farla breve è stata una campagna troppo gauchista che ha scontentato i moderati, o una campagna troppo moderata che ha allontanato i gauchisti, paradossalmente è stata tutte e due le cose in pratica è stata una campagna dilettantesca.

Banalizzando: di chi è la colpa?
Del candidato o dei partiti, che hanno fatto mancare il loro appoggio?

Io credo che il candidato avesse tutte le qualità per vincere ma come in tutte le competizioni quello che conta è la gara non il record in allenamento, e Ferrante è arrivato del tutto impreparato alla gara, sfiancato dalla preparazione, privo di una strategia.
I partiti credo che abbiano dato tutto quello che potevano dare, considerato che da anni il centro sinistra non esprime una classe di governo cittadina, che figure di spicco non ce ne sono, che le sconfitte del passato hanno generato una sindrome isolazionista permanente, e che tutto sommato i partiti forse con la sola eccezione dei ds sono poca cosa in termini di forza organizzata.
Anche l’importanza della lista unitaria ds- margherita così forte all’interno degli apparati non è correlata al comportamento dell’elettorato che infatti appena gli viene fatta un offerta più vasta
(con la lista Ferrante)si sposta; è vero che si potrebbe dire che la lista Ferrante ha trattenuto voti che erano in uscita ma francamente credo che all’interno del centro sinistra esistano due elettorati: uno che vota il proprio partito di riferimento con una forte continuità, e uno che si sposta con facilità anche a pochi mesi di distanza; un elettorato che deve essere ogni volta motivato sia nella scelta dei temi che nella scelta dei candidati sbagliare l’uno o l’altro o peggio tutte e due espone a brusche sorprese.
Probabilmente quindi la responsabilità maggiore come del resto in tutte le presidenziali va addebitata al candidato, o meglio ancora ai suoi allenatori.
In fondo Ferrante ha accettato una sfida al buio, erano altri che dovevano spiegargli che quello del candidato è un mestiere difficile e spietato, soprattutto perché in caso di sconfitta sei solo.

Mi resta un dubbio alla fine di questa chiacchierata : magari saremmo andati al ballottaggio e avremmo vinto se solo ci si fosse occupati di alcuni dettagli, fra cui quello di far star zitto Visco.
Ed una domanda : come è possibile che nel 2006 la coalizione di centro sinistra a Milano abbia meno voti di quelli che avevano pci e psi nel 1980?

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CENTRI URBANI E SICUREZZA

September 30, 2015 By admin

Incontro a La Fabbrichetta con Roberto Cornelli, Sindaco di Cormano – 19 aprile 2007
 
Pier Vito Antoniazzi: Cornelli è un personaggio interessante per noi… E’ giovane (compie 33 anni a giugno), dal 2004 è sindaco di Cormano (città di prima fascia dell’hinterland milanese), è criminologo, studioso e docente nell’Università di Milano-Bicocca di sicurezza urbana e criminalità…
Roberto Cornelli: Il problema della sicurezza “esplode” in Italia a metà degli anni ’90, con qualche anno di ritardo rispetto ad altri Paesi europei. Dopo una stagione in cui la criminalità organizzata e il terrorismo interno avevano catalizzato le attenzioni e le preoccupazioni dei politici e dell’opinione pubblica, ondate di panico morale investono le aree urbane strutturando sentimenti di paura e di esasperazione per la micro-criminalità, per il disordine urbano e per le inciviltà. Sono soprattutto i fatti di criminalità comune, come i furti in appartamento, gli scippi e le rapine, ad alimentare le campagne “informative” dei mass-media e le insicurezze delle persone.
Sono gli stranieri extracomunitari i principali bersagli del sentimento di intolleranza che si diffonde rapidamente e che porta nelle piazze migliaia di persone in fiaccolate contro la microcriminalità e l’immigrazione.
La “protesta civile”, resa più acuta dalla sfiducia verso il sistema politico colpito duramente dalle indagini giudiziarie di Mani Pulite, s’indirizza verso i Sindaci, in quanto referenti istituzionali più prossimi ai cittadini, anche grazie alla legge che nel 1993 ha introdotto la loro elezione diretta. Mentre al Governo nazionale si chiede una politica di “legge e ordine”, vale a dire di inasprimento delle pene e di stanziamento di risorse per mettere le forze di polizia nelle condizioni di controllare il territorio e contrastare i fenomeni devianti e criminali, ai governi locali si chiede di intervenire nelle numerose situazioni di disagio, di precarietà, di conflitto e di insicurezza che affollano la vita delle persone nelle città, e che vengono espresse attraverso una generica e indistinta domanda di sicurezza.
L’ allarme sociale per la criminalità non è un fenomeno nuovo in Italia: il biennio 1974-75 fu caratterizzato da un’intensa campagna di opinione sulla drammaticità e la diffusione del fenomeno criminale, unita alla richiesta di maggiore fermezza rispetto a fenomeni criminali emergenti, quali terrorismo e criminalità organizzata. E sicuramente è un tratto caratteristico di tutti i Paesi Occidentali. Stati Uniti in testa: negli anni Sessanta il Presidente Jonshon, Democratico, indicò nel 1966 la paura della criminalità come il più diffuso tra i “costi” che la criminalità infligge ai cittadini e, dunque, il problema principale da affrontare in un programma governativo centrato sulla “guerra al crimine”. Fu la prima volta che il termine fear of crime (paura della criminalità) entrava in un discorso presidenziale: gli eventi ( tra cui le rivolte dei ghetti neri, il clima di sfiducia nel sistema penale, le preoccupazioni dei ceti medi) stavano conducendo un Presidente Democratico fortemente impegnato nell’attuazione di un programma keynesiano di riforme sociali in direzione fortemente socialdemocratica a promulgare – dopo passaggi congressuali molto difficili – una legge, il The Omnibus Crime Control and Safe Streets Act, limitativa delle libertà e delle garanzie processuali. Da quel momento in poi, con l’avvento di Nixon e dopo un decennio di Reagan, la paura diventa un elemento sempre presente in ogni discorso elettorale o presidenziale riguardante la giustizia penale, la criminalità e lo stato sociale e attorno a cui elaborare politiche penali.
In Italia, i Governi di centro-sinistra a partire dal 1996 si sono trovati a gestire l’esplosione dell’allarme sociale per la criminalità e l’immigrazione, probabilmente senza esserne preparati trattandosi di un tratto nuovo della sensibilità diffusa e della politica.
E hanno reagito con misure, come il “pacchetto sicurezza” del 2001 del Governo D’Alema, che ha avuto più la funzione di affermare una volontà di governare politicamente il fenomeno della criminalità (giustizia simbolica o espressiva) più che un’efficacia nel governarlo effettivamente.
Nel pacchetto sono state previste – secondo le parole dell’allora Ministro della Giustizia on. Piero Fassino – “misure che assicurano maggiore certezza della pena, accelerazione dei processi, ampliamento dei poteri di indagine della polizia, inasprimento della severità per reati che destano forte allarme sociale”.
Questa linea repressiva, che intende rassicurare le persone attraverso l’aumento delle pene, dei comportamenti punibili (penalizzazione) e l’incremento dell’organico delle forse di polizia, non tenne conto delle riflessioni e delle politiche adottate a livello locale, ad esempio nell’ambito del progetto della Regione Emilia-Romagna o del Forum Italiano sulla Sicurezza Urabana, o dalle associazioni tematiche di partito, come l’associaizone VivereSicuri dei DS. Questa linea repressiva non tenne, e non tiene tuttora, conto dei risultati della ricerca criminologica che sull’analisi delle tendenze criminali e sul tema della “deterrenza” ha un sapere ormai consolidato e fruibile anche dalla politica.
Un approfondimento breve per parlare di un aspetto specifico e limitato relativo all’efficacia: se si pensa che circa la metà dei reati commessi in Italia ogni anno (tot. reati denunciati nel 2004 in Italia: 2 milioni e 970 mila circa) è un furto, e che circa il 95% dei furti sono di autore ignoto, si comprende come l’aumento delle pene non abbia un effetto così deterrente per la commissione di furti. E non è un problema tanto di certezza della pena, perché per per quel 5% circa di furti con autore noto, le sentenze di condanna arrivano: subiscono una pena detentiva il 65% di coloro che sono stati imputati di un furto (sono tutte elaborazioni su dati Istat). E molto spesso sono persone che ormai non note al sistema penale, riconoscibili e quindi più facilmente arrestate: spesso entrano in carcere sempre gli stessi, perché i più facili da prendere.
La politica reagisce all’allarme criminalità spesso semplificando – la semplificazione è, d’altra parte, una necessità della politica, che si scontra in questo caso con l’efficacia delle misure messe in campo – e dando l’idea che ci sia maggiore “controllo”.
Il governo nazionale tende a riaffermare la centralità della “risposta penale” per rassicurare i cittadini, secondo l’assunto classico – debole nei fatti – che aumentando le pene, aumenti la deterrenza e diminuisca la criminalità. Il risultato è, invece, una delega al sistema penale, sempre più collassato e che non produce giustizia per molti motivi, ma anche perché viene investito, senza criteri di priorità, di una quantità enorme di fatti.
La protesta civile dalla politica nazionale si sposta sulla giustizia, per poi tornare, con maggior vigore e maggiore sfiducia, alla politica, non in grado di assicurare alla giustizia (e alla polizia soprattutto) di funzionare bene. E le insicurezze si alimentano della sfiducia derivante da questa promessa mancata.
Ma lo Stato non è più centrale nelle strategie di rassicurazione adottate dai cittadini.
Tre tendenze caratterizzano questi anni:
1) La privatizzazione o commercializzazione della sicurezza (in USA anche delle carceri oltre che della polizia). A Singapore, ad esempio, ci sono due agenti di polizia privata ogni agente di polizia pubblica; negli Stati Uniti il rapporto tra polizia pubblica e polizia privata è di 1 a 3. In Italia nel 2001 siamo arrivati a 1 poliziotto privato ogni 6 pubblici.
2) Dallo stato alla “comunità”. Oggi si chiede sicurezza al Sindaco. Persino nei comuni più piccoli oggi si va più dal sindaco che dai carabinieri per segnalare problemi di sicurezza.
3) Ricorso a misure extralegali legate alla prevenzione situazionale o comunitaria. Esempio le ronde, le recinzioni, le telecamere. Spesso senza considerarne attentaemente l’uso, la funzionalità e l’efficacia. Facendo un passo indietro e analizzando le tendenze della criminalità a partire dal Secondo Dopoguerra notiamo un forte aumento dei reati denunciati tra il ’70 ed il ’75, non paragonabile per importanza (un vero e proprio salto) a quello degli inizi degli anni Novanta. Perché allora “l’allarme sociale” è venuto 20 anni dopo?
La “paura della criminalità” entra nel dibattito pubblico italiano a metà degli anni Novanta in un periodo di “crisi drammatica e profonda”.
Provo a elencare solamente per titoli alcuni dei fenomeni che penso abbiano accompagnato l’insorgere della paura della criminalità come tema politico:
– fine del bipolarismo Est-Ovest e crisi dei partiti ‘ sfiducia nel sistema di rappresentanza
– fine del bipolarismo Est-Ovest e crisi economica ‘ sfiducia nella capacità di governo dell’economica
– immigrazione e la difficile co-abitazione con lo straniero
– “Mani pulite” e questione morale ‘ sfiducia nella politica
– Mass-media: la scoperta della vittima come risorsa comunicativa.

Interventi di Gadola, Gori, Antoniazzi, Meroni,Crapanzano:
-Un giornale ha scritto che a Milano si droga 1 su 3. Ci sarà ben un mercato vasto…
-Com’è la situazione ad Amsterdam che ha legalizzato le droghe leggere e che ha i quartieri a luci rosse ?
-Ho letto “Gomorra”. L’esercito della camorra è fatto di quindicenni…
-La sinistra è subalterna, anche nel linguaggio,pensiamo a “tolleranza zero” per esempio. Cornelli: “Tolleranza zero” fu coniato da alcune femministe canadesi in una campagna contro le violenze sessuali. Hobbes diceva che la paura è all’origine dello Stato moderno: la paura di ciascuno verso ogni altro spinge gli uomini a rinunciare alla propria libertà delegando allo Stato la funzione di protezione e di sicurezza. Oggi sembra essere un problema di equilibrio e prospettiva: in uno stato democratico dobbiamo cercare di garantire sicurezza costruendo risposte di civiltà, di convivenza, dirette alla creazione di una società aperta.
 

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MILANO CHIAMA L’ASSICURATORE

September 30, 2015 By admin

Francesco Bizzotto
Già Ufficio Studi FIBA CISL

Da alcuni anni alcune persone di diversa estrazione, ma accomunate dalla passione politica e dall’esperienza assicurativa, hanno messo a disposizione le loro competenze, dando vita all’Ulivo delle Assicurazioni.
Il riscontro purtroppo non è stato positivo: i partiti sono refrattari a recepire competenze che non possano essere strumentalizzate e quindi non hanno dato la sponda che ci si aspettava.
Quella delle competenze è la questione della società civile, nel senso che una società civile organizzata pone la questione della rappresentanza in modo alternativo rispetto a quello proposto dai partiti.
Nella professione assicurativa ci sono ampie riserve di competenza, benché poco conosciute tanto a destra che a sinistra, a causa di una scarsa considerazione in cui la politica tiene la cultura d’impresa in generale e quella del rischio in particolare.

Il settore assicurativo ha una ricca produzione di cultura aziendale, ad esempio nel CINEAS “Consorzio Universitario per l’ingegneria nelle assicurazioni”, all’interno del quale Politecnico di Milano e industria assicurativa promuovono lo studio ingenieristico del rischio (risk engineering) con la tecnica propria della gestione degli eventi dannosi (loss adjusting). Il tutto arrivando anche alla produzione di corsi formativi per attività di servizio a tutto vantaggio della collettività, quali quelli di “Hospital Risk management”.
Il mondo assicurativo sta cercando in molti suoi settori di abbandonare l’autoreferenzialità ancorata al passato nella misurazioni dei rischi, che è entrata in crisi.

Da esperienze innovative di questo genere possono venire dei suggerimenti per l’amministrazione cittadina, che sia di stimolo per un nuovo approccio comune fra compagnie e cittadini ai problemi legati alla copertura dei rischi. In questo senso molto interessante sarebbe l’idea che il comune spinga le compagnie a proporre nell’area metropolitana forme di copertura veramente ampia (cosiddetta all risk), che non si basi sul tradizionale rimpallo fra garanzie ed esclusioni, ma copra per intero una categoria di rischi. Se si prova ad applicare questo approccio alle polizze dei condomini, si ha un’idea immediata di quale ritorno possa esserci per i cittadini intermini di maggiore sicurezza. Infatti insieme amministrazione e cittadini investirebbero in una iniziativa di lungo periodo, volta all’equilibrio ed alla stabilità di un importante settore della vita cittadina, tale da favorire il controllo di una serie non trascurabile di rischi.

Oltre che per progetti particolari come questo, gli assicuratori cittadini, che sono molti ed importanti non solo all’interno della categoria, potrebbero essere chiamati dalla nuova amministrazione a partecipare ad un tavolo nel quale far convergere la ricerca di soluzioni a problemi di ordine generale della città.
Il traffico ed i suoi legami con la copertura assicurativa per antonomasia, quella di RC auto, ma anche i temi dell’autosufficienza, che possono vedere un approccio multidisciplinare fra volontariato, istituzioni e privati, limando gli sprechi dovuti alla cronica duplicazione di interventi, ed arrivando fino quasi a fornire uno sportello unico delle soluzioni a questo grave problema tipico della città che invecchia.
Il mondo assicurativo ha in sé competenze e cultura che possono permettergli di essere utilmente messo se non al servizio, quanto meno in sintonia con una nuova politica di una nuova amministrazione cittadina.

Dobbiamo capire cosa può fare l’amministrazione per ridurre veramente i rischi dei cittadini, all’interno di una politica vera dell’emergenza. Probabilmente il primo compito dell’amministrazione è quello di prevenire ed informare: cercare di prevenire le situazioni di rischio, e nel contempo dare il massimo di informazione e trasparenza su questi temi.

Nell’economia nazionale la componente assicurativa milanese ha un peso molto rilevante, che non ha un adeguato ritorno verso la città. A Milano vengono sottoscritti, a seconda delle valutazioni, fra il 20 ed il 27% dei contratti di assicurazione che annualmente si accendono in Italia. Cosa resta di questo a Milano: sempre meno in termini occupazionali, benché non sia ancora cominciata una vera delocalizzazione, ma soprattutto molto poco sul piano sociale.

C’è anche una visione meno ottimistica del mondo assicurativo, che è sempre più improntato alla logica del breve periodo ed all’assorbimento nella logica finanziaria di quella che dovrebbe essere un’industria di servizi. Esistono dubbi che effettivamente azionisti e manager vogliano e possano impegnarsi in iniziative che non rientrino nella loro visione di immediato ritorno di utilità.
 
Nota per La Fabbrichetta di Francesco Bizzotto
 
Il mercato. Premi incassati ogni anno in Italia: 100 miliardi di euro (65 Vita, 18 RCA e 17 altri rami Danni). Per il 12,5% (Vita), 11,1% (Danni) e 7,3% (RCA) in provincia di Milano.
Riserve e investimenti per 500 miliardi.
 
Tipico servizio della Società, con la sua mediazione ha reso possibile l’iniziativa individuale (che esplora la possibilità, rischia). Non si contrappone ma aggiunge valore alle Comunità.
 
Le domande. Quale servizio è in campo a Milano? Quali innovazioni sono mature, necessarie? Cosa ritorna alla città in termini di investimenti? È possibile un dialogo che apra allo sviluppo e associ l’assicuratore, soggetto di Welfare e investitore istituzionale di equilibrio (il suo 1° interesse)?
 
Sì. Su tre terreni in particolare Milano chiama l’assicuratore a crescere e innovare:
Aiutare di più le nostre IMPRESE che competono nel mondo: con polizze All Risks e con informazioni sistematiche sui rischi specifici (in Usa l’80% degli assicuratori promuove servizi di completa gestione dei rischi; in Inghilterra il 30%; in Italia il 6%).
Definire una nuova polizza SALUTE per la FAMIGLIA, che consenta di scegliere differenze di prestazioni nel pubblico (solventi): per personalizzare la cura, premiare le eccellenze mediche e far affluire risorse agli ospedali. Una polizza che preveda e incentivi percorsi di Prevenzione.
Ripensare la RCA. Il sistema di Indennizzo diretto è buona occasione per: assicurare la Patente e legare la dinamica del premio al comportamento di guida (il vero rischio) anziché al sinistro (il caso); investire in Prevenzione (Francia); Assistere nel sinistro (intervento immediato).
VIVIBILITA’. L’assicuratore ha un preciso interesse alla salute dell’uomo e dell’ambiente. È l’attore di mercato per eccellenza di questi equilibri. Come coinvolgerlo? Ascoltarlo, parlarne!

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POVERI EQUILIBRISTI -Sintesi dell’incontro con don Roberto Davanzo, Direttore della Caritas Ambrosiana, a LA FABBRICHETTA di via Pepe 38- Mercoledì 19 ottobre 2005

September 30, 2015 By admin

P.Vito Antoniazzi presenta don Davanzo. Assistente regionale dei boy-scout’s,poi parroco alla Fontana e da 10 mesi Direttore Caritas,un osservatorio “privilegiato” rispetto alle povertà, ai problemi della città…
“10 mesi sono pochi per una realtà come questa-attacca don Davanzo- sto imparando…Persino la “giornata mondiale della povertà”,inventata da un prete e fatta propria dall’ONU,mi era sconosciuta. Del resto in Italia non molti la celebrano. C’è “Terre di Mezzo” una delle realtà che lavora con gli homeless (un’altra che promuoviamo noi è “Scarp de tennis” con l’idea di tenere viva un’attenzione culturale e di dare insieme lavoro a questo popolo fragile) che l’ha onorata con “la notte dei senza fissa dimora”, una notte all’aperto in piazza S.Stefano il 17 ottobre.
Io non mi entusiasmo troppo per “gli eventi”,per gli spettacoli (nemmeno per le adunate oceaniche…). Mi sembrano episodici,quasi che poi il giorno dopo il problema non ci sia più oppure sia solo “affar nostro”, di “delegati permanenti all’emarginazione”. Non voglio essere “il cerotto” per l’occasione. Certo è però che secondo la retorica dell’amministrazione ci sarebbero più posti letto contro “l’emergenza freddo” che domande. Figuriamoci! Se vai a vedere di 1660 posti annunciati, 1500 sono quelli stabili,già occupati tutto l’anno…
Qui c’è la prima questione da porre. L’Ente locale deve assumersi responsabilità, deve avere uno sguardo complessivo. La Legge 238 del 2000 prevede che l’Ente locale apra un tavolo col Terzo Settore, con il no-profit per discutere la Programmazione dei servizi.
Solo ora, al secondo biennio di Piani,il Comune di Milano,stimolato dalla Regione, chiama a un tavolo il Terzo Settore. Ma con incertezza e poca voglia di ascoltare.
Su 1100 parrocchie della Diocesi Ambrosiana (oltre a Milano,Lecco,Varese,Treviglio) abbiamo 800 Caritas,ma soprattutto abbiamo 260 Centri di ascolto che ogni settimana sono aperti ai problemi della povera gente (di tutti i colori e di tutte le religioni). I comuni si facciano aiutare dal terzo settore non per una sorta di pancooperativismo che punti a gestire tutti i servizi,ma prima di tutto per capire la domanda.
Seconda questione : la sicurezza è diventato un tema esplosivo. Un tema spesso “emotivo”, enfatizzato, che fa paura e paralizza. Mi è capitato ultimamente di occuparmi di Rom. Assicuro che non c’è niente di poetico e letterario. Però la risposta non può essere “la cultura dello sgombero”.
Persino questore e prefetto l’hanno detto: è inefficace ed antieconomica pure. Ci vuole integrazione,ma non è facile. Bisogna lavorare sull’educazione,sui giovani e conoscere la loro tradizione.
Luca Gadola racconta dell’esperienza di “tolleranza zero” in Canton Ticino (sassi nei campi dove si accampavano..):fallimentare. Esperienze positive sono state invece dove l’amministrazione svizzera ha cercato di facilitare il recupero di tradizionali attività artigiana.
Massimo Cingolati , a conferma dell’enfasi sulla sicurezza,dice che le assicurazioni (che basano le loro tariffe sulle statistiche e le probabilità di evento) riducono ogni anno le tariffe sui furti a milano,mentre aumentano in altre località.
Davanzo ricorda l’esempio coraggioso della Amministrazione di Rho che si è assunta la responsabilità di un campo per i Rom anche in presenza di un referendum contrario leghista.
Occorre creare una rete informale di solidarietà,di prossimità. Milano ha ancora tante risorse umane in questo senso. Non è tollerabile che nell’estate scorsa a Milano ci siano stati 29 anziani trovati morti in casa loro dopo diverso tempo (mentre nello stesso periodo nell’hinterland ci sono stati solo 2 casi simili). Lo stesso carcere non riesce nella sua teorica missione di rieducazione. Persone che escono dal carcere(o potrebbero uscire se…) non hanno casa, lavoro, nessuna rete relazionale che li aiuti. Ci sono stranieri “fragili”, ci sono sofferenti psichici, ci sono disabili destinati a rimanere soli (e i parenti si pongono il problema del “dopodinoi”).
Ci sono per fortuna esempi virtuosi. Condomini solidali,comuni che si mettono in rete e assumono responsabilità,tanta gente che cerca di lasciare meno sole le persone in questa città.
 

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