Prof. Paolo Biscottini
Direttore del Museo Diocesano di Milano
Nella sala in cui si svolge questa riunione c’è su di una parete la foto di un elefante in ginocchio, che rende perfettamente l’idea della situazione della cultura milanese: una grande potenzialità, un enorme patrimonio , un incredibile ricchezza di idee e soprattutto una grande storia di civiltà e di pensiero. Questa è Milano, un gigante piegato su di sé, sul il crollo delle sue aspettative, parafrasando un’affermazione di Luca Doninelli.
San Carlo, dopo la peste, nel suo famoso memoriale invocava il risveglio di Milano: alzati Milano cieco!
Così noi oggi vorremmo riassaporare il risveglio culturale di Milano e vedere la nostra città recuperare il suo ruolo morale e culturale, in Italia, in Europa, nel mondo.
L’amministrazione comunale uscente non ha colto la gravità della crisi esistente e l’ha ridotta ad un problema finanziario, come se la carenza dei fondi ne fosse responsabile. Il problema è più profondo. Le risorse finanziarie sono certamente fondamentali, ma da un lato è necessario ripensare e rivedere i costi (non è giunto il tempo di istituire nell’ambito comunale il cosiddetto bilancio di settore?), abbassandoli drasticamente, con una politica oculata e meno faraonica (penso soprattutto alle mostre), mentre dall’altro bisogna formulare progetti capaci di attrarre l’attenzione del privato, che sempre di più vuole capire la serietà delle proposte che gli vengono presentate, disposto anche a non discutere soltanto il suo ritorno d’immagine. Il problema è questo. Il progetto. E’ questo è il problema di cui dovrà farsi carico il nuovo sindaco, quello di un progetto culturale che, tenendo conto delle grandi risorse culturali di Milano, le orienti verso un nuovo sviluppo, capace di suscitare l’interesse anche del mondo finanziario.
Manca, è mancato un progetto inteso come “modifica del presente” e quindi come proiezione nel futuro dell’identità culturale della città.
Si è parlato della grande potenzialità museale cittadina, del suo incredibile patrimonio artistico (quale altra città vanta la presenza così importante di opere di Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Caravaggio, Boccioni ecc., solo per citare i giganti?). Perché il Sindaco di Milano non si fa interprete di un progetto che prescindendo dalle diverse proprietà delle opere (lo Stato, il Comune, la Chiesa, i privati ecc.), le consideri nella loro appartenenza a Milano?
I beni culturali di Milano sono o non sono innanzi tutto beni dei milanesi, della città? E perché il Sindaco pensa di doversi occupare e preoccupare solo di quelli di proprietà civica? Non è forse giunto il momento di aprire un tavolo di concertazione fra i vari musei cittadini e definire con loro il progetto culturale di Milano? Con loro, con le Università, con i Centri di ricerca, con la Scuola, con i grandi quotidiani e via dicendo, è necessario aprire un confronto dal quale il Sindaco possa trarre elementi per la sua proposta. Non la proposta dell’Assessore alla Cultura, quella del Sindaco. E’ forse infatti giunto il momento in cui il Sindaco assuma su di sé la responsabilità della Cultura, perché è la responsabilità più alta, quella in cui l’identità ambrosiana incrocia il presente e prospetta il futuro. Così possono nascere i nuovi musei, così i vecchi rimescolano le loro carte e le giocano in una prospettiva coerente e solidale. Così la cultura esce dai suoi recinti ed entra in circolo. Penso alle periferie, ma anche al centro, con la sua straordinaria capacità propositiva. Penso che un progetto culturale vero potrebbe contemplare la fondazione (anche architettonica) di nuovi musei e la rigenerazione di quelli esistenti. Immagino che la programmazione culturale tenga conto della scuola, entri in essa e da essa riesca nella forza creativa dei giovani. Il problema delle periferie e più in generale del degrado non è anche, e forse soprattutto, un problema di valori e quindi di una cultura che non c’è, appiattita sul gusto, sulle mode e nel complesso priva di un centro?
Il Museo in un simile contesto può fare molto, ma bisogna tornare a credere in esso e a puntare sulla sua capacità di proposta.
Si parla, si è parlato talora, dell’anima di Milano. E non si sa bene che cosa voglia dire tutto ciò. Ma se alla parola anima sostituiamo la parola identità, allora diventa più semplice e non astratto lavorare intorno ad un progetto che tenda a recuperare l’identità ambrosiana in una prospettiva ampia, con iniziative non effimere.
Il problema non è certo solo cittadino, ma nazionale: mettere la cultura al centro della strategia politica non è un’operazione elitaria, ma la costruzione del nostro futuro sulla base di un patrimonio che attraverso la cultura e l’arte trasmette un’eredità fatta di valori morali. Questo è reso più difficile dalla scomparsa in Italia della grande committenza, e dalla nascita della cultura dell’evento, che celebrando l’effimero svilisce la nostra storia, il nostro patrimonio artistico, i nostri stessi artisti, ignorati da tutti.
Che ne è dell’arte del secondo Novecento lombardo? Chi ha provveduto ad essa? Quale Museo si interessa di questi artisti, oggi magari settantenni, o di quelli più giovani?
Milano è stata storicamente grande nell’arte di tutti i tempi ed anche in quella recente ha espresso e continua ad esprimersi a livelli altissimi. Ma chi, al di fuori degli addetti ai lavori, lo sa? Nei grandi Musei del mondo vediamo opere di Lucio Fontana (che può essere detto milanese), di Piero Manzoni (milanese), di Castellani ecc. , ma gli altri? E perché Milano non ha un Museo dedicato a Fontana? Oppure ai futuristi (quanto si battè per questo il compianto Tadini!) ?
Abbiamo tanto da fare perché l’elefante in ginocchio si alzi e riconosca con orgoglio la sua identità.
Durante il periodo dell’egemonia culturale social-comunista e del potere culturale craxiano, gli artisti se non erano organici a queste realtà non avevano chances. Oggi, o si piegano al mercato ed alla sua violenza, oppure non esistono.
A differenza poi di quanto avviene ad esempio negli Stati Uniti d’America, il mercato non lavora in collaborazione con le istituzioni culturali, e queste ultime sono affette da un moralismo snobistico, che pretende la separazione totale di mercato e cultura. Questo ha portato da un lato all’isolamento della cultura accademica, mentre il mercato si è definitivamente separato da premesse culturali. Alcuni galleristi hanno fatto grandi investimenti su artisti che poi non hanno avuto occasione di emergere, principalmente a causa della latitanza dell’istituzione che, sola, può legittimare operazioni di promozione culturale.
C’è una metafora della situazione data da un recente evento teatrale: in questo periodo il Piccolo Teatro propone nel doppio cinquantenario “Madre coraggio ed i suoi figli” di Brecht, rappresentato, in modo per altro bellissimo, con un’attenzione alle coreografie tale da mettere in secondo piano la forza del testo, cosa che se è accettabile in uno spettacolo operistico (la specializzazione del regista Carsen), lo è molto meno nel teatro di prosa. Infatti si perde lo spessore del testo, la profondità dell’autore, per di più su di un argomento di assoluta attualità quale la guerra.
Così nella politica culturale cittadina, resta un’impressione di eleganza e raffinatezza senza alcuna profondità di pensiero.
E’ necessario un rinnovamento culturale vero e non di facciata.
Avere una carica di speranza, in questa situazione è possibile solo sperando nel nuovo sindaco, e nel fatto che le sue scelte non vengano condizionate dai vari salotti milanesi.
Dal nuovo sindaco si può sperare un gesto simbolico forte: l’abolizione dell’assessorato alla cultura, e l’avocazione alla competenza del sindaco stesso del ruolo e dell’impegno per una strategia di costruzione di un progetto culturale per il futuro.
In questo modo il sindaco potrebbe avvalersi delle competenze di altri specialisti, coinvolgendo ogni assessore nella responsabilità di una politica culturale visibile in assoluto.
Da una strategia culturale di questo tipo, può discendere un orgoglio municipale che si deve concretizzare anche in cose minime, quali le modalità di conservazione della città, il cui scempio è stato perfezionato con la distruzione della sky-line
neoclassico della Scala.
In questo sta il grande ruolo del sindaco, ripartire dalle radici lombarde della nostra cultura, nella visione dell’innesto di queste radici nella cultura globale.
Questo evidenzia la mancanza di un ruolo di guida e consiglio nelle scelte culturali dei cittadini: non serve il minimalismo funambolico della cultura televisiva, ma il progetto di un sindaco e della sua amministrazione.
Il progetto presuppone una modifica del presente, questo il senso da dare ad un lavoro culturale concreto ed attento.
La speranza c’è, va concentrata sulle persone. Va concentrata sul sindaco. Che possa pensare la cultura a 360 gradi, nei musei ma anche portandola nelle carceri, quindi ovunque. Bisogna ricollocare la cultura al centro per uscire da una rete di mistificazioni che ha finito col far perdere a tutti il senso critico.
E’ necessario riflettere sui motivi per cui Milano non è stata sino ad oggi in grado di organizzare un’offerta culturale che abbia un minimo di struttura logistica, come hanno fatto ad esempio in modo molto concreto Napoli e la Campania.
(P. Biscottini) Questa mancanza è un esempio di mancata coordinazione fra gli attori del sistema, ma prima ancora una dimostrazione di scarso interesse per la cultura in sè.
Gli allestimenti faraonici degli eventi più visibili rappresentano uno spreco, per la spesa concentrata sulle strutture temporanee, senza nessuna ricaduta sulle strutture permanenti.
(P.Biscottini) esiste la possibilità per l’amministrazione di governare questi eventi, orientando e coordinando le attività museali; va anche stimolata la responsabilità dei funzionari e dei direttori di museo nel controllo della spesa.
L’organizzazione dei flussi di visitatori agli eventi culturali risente certamente dell’assenza di una politica globale, perché altrimenti non si spiegherebbe perché un patrimonio come quello dell’Ambrosiana sia così trascurato.
(P. Biscottini) certamente ci vogliono politiche nuove anche sulla biglietteria. Ad esempio si potrebbe pensare al sistema anglosassone dell’offerta libera, che spesso finisce per essere vantaggiosa per l’ente museale.
Esiste una sottovalutazione della cultura scientifica, onda lunga della cultura crociana, che porta a limitare l’importanza di musei come scienza e tecnica o scienza naturale.
(P. Biscottini) pur nel successo di pubblico costante, l’offerta dei musei scientifici cittadini non solo non è aumentata negli ultimi cinquanta anni, ma ha visto un progressivo deterioramento delle strutture di quei musei.
La devolution rischia di avere nel campo museale lo stesso effetto dirompente della questioni dei diritti televisivi nel mondo del calcio: l’offerta nazionale deve essere globale e non si possono concentrare le risorse nelle città d’arte di punta, ma diffonderle ad ogni livello. Analogamente a livello cittadino fra le varie istituzioni museali.
(P. Biscottini) a livello regionale in Lombardia esisteva una commissione musei, oggi abolita, che aveva il compito di coordinare per fare in modo che all’interno di un progetto collettivo ciascuno avesse un ruolo, e l’insieme si valorizzasse. Oggi questo ruolo, anche nel rispetto delle norme sui beni culturali, può essere utilmente ricoperto dal sindaco, sotto la cui responsabilità si faccia il gioco di squadra fra le istituzioni culturali. Questo può avvenire se il sindaco si mette al servizio della città, partendo dall’ascolto degli altri.