Folco de Polzer – Libero Professionista – Tecnico Competente in Acustica Ambientale
Interventi di:
Piervito Antoniazzi
Caterinella Napoli
Luca Beltrami Gadola
Francesco Florulli
Alcuni spunti generali in materia di rumore a Milano, in quella Milano che è un caso limite della situazione “rumore”, perché se in altre città c’è un concreto rischio di blocco, a Milano la situazione è addirittura critica a cominciare dal rumore da traffico. Di fronte alla soluzione ideale, che sarebbe quella di spegnere il motore, ogni azione si arena, principalmente perché si è formata una cultura dell’utilizzo del mezzo privato che è dominante, e che finisce però per entrare in contraddizione con i fatti concreti.
Non ci sono troppe alternative su questo fronte: o si impedisce di fatto il traffico, oppure si trovano i modi di contrastare questa cultura dominante. La nostra situazione è esemplificata da un detto milanese degli anni cinquanta diceva che per una giovane sedotta e abbandonata era comunque meglio aver pianto su una spider che in tram. Altrettanto dovrebbe essere per il rumore.
Si dovrebbe forse mettere al centro del problema non il fattore negativo, l’automobile ma il fattore tendenzialmente positivo, ovvero il cittadino – elettore. Mettere quindi al primo posto il pedone, soggetto più fragile ed esposto, e re orientare il sistema semaforico che ha un equilibrio oggi orientato solo al flusso del traffico privato, ignorando spesso anche i mezzi pubblici, come è dimostrato dal mancato utilizzo del sistema di prenotazione semaforico installato per le tranvie. A seguire viene il ciclista, che deve essere portato a scendere in permanenza dal marciapiede, anche per evitare una guerra di poveri con i pedoni.
Altra importante sorgente di inquinamento acustico è data dai rumori cosiddetti civili, del tipo del rumore dei condizionatori d’aria.
Teoricamente la normativa italiana sur rumore è la più strutturata d’Europa, soprattutto a livello aziendale, laddove ogni tipo di attività economica in assoluto ha una regolamentazione specifica in relazione all’inquinamento acustico.
Restando comunque il traffico la principale sorgente di rumore, e tornando a Milano, si deve dire che il Comune di Milano è completamente inadempiente, non avendo ancora provveduto alla redazione del né del Piano di verifica né del Piano di risanamento, che avrebbe dovuto essere completato al più tardi entro quest’anno.
Il risanamento, che nasce soprattutto da interventi sulle strade, per una città come Milano è un impegno gigantesco se solo si pensi che il Comune di Milano ha una rete di 2.000 kms di strade, mentre la provincia di Milano nel suo insieme, senza capoluogo, ne ha solo 1.000.
In base alla normativa vigente si sarebbero dovuti seguire dei percorsi pre fissati, mentre a Milano tutto è stato affidato all’Agenzia per la mobilità, dotata di un budget di 4 milioni di euro, che dopo aver studiato un piano di zonizzazione acustica, lo ha messo in un cassetto, non senza avere aggiudicato una gara in merito del valore di 100 milioni. Troppo poco se si considera che una città come Verona, non solo più piccola, ma meno articolata di Milano, ne ha spesi quattro volte tanti, il che indica che c’è qualcosa che non va. Sembra soprattutto che manchi la volontà di applicare realmente gli strumenti esistenti.
Altrettanto difficile sembra ottenere il consenso sulle operazioni di risanamento, perché questo implica la modificazione di abitudini consolidate per fasce consistenti di cittadini. Quindi il consenso sulle operazioni di risanamento ha dei costi importanti, perché può scatenare una vera e propria rivolta di gruppi di cittadini colpiti dai provvedimenti nelle loro abitudini. O anche perché costa il tempo che è necessario per mettere in moto le opere necessarie avendo acquisito il consenso con una lunga opera di informazione e convincimento. Considerando che ogni spazio guadagnato presso una categoria, risulta in definitiva uno spazio tolto ad un’altra categoria di cittadini.
In definitiva, uscendo dall’ambito tecnico, qualunque proposta in questo ambito rischia di trasformarsi in un boomerang elettorale, perché è proprio toccando piccoli ma diffusi interessi che si metto a rischio fasce importanti di elettorato.
Il concetto tecnico e realistico di intervento concreto deve agire sugli orari di produzione dei rumori che siano in qualche modo governabili dall’amministrazione comunale, facilitando nei limiti del possibile l’inversione notte / giorno, per salvaguardare la funzione della notte come momento essenziale del riposo, nel quale il rumore risulta particolarmente malsano, oltre che fastidioso. Infatti dal punto di vista fisiologico la diminuzione della capacità di riposo ha un effetto negativo, e si deve cercare di non avere delle città che vivano h24, ma città in cui possano convivere civilmente anche dal punto di vita del rumore persone che vivono prevalentemente di giorno e persone che vivono prevalentemente di notte.
Ed insieme fare del tutto per realizzare misure concrete di riduzione del traffico automobilistico, ad esempio con la realizzazione delle isole ambientali di attraversamento e non di destinazione.
La normativa in materia si basa su di una legge quadro che risale al 1995 con una serie di deleghe al governo, che nelle sue successive formazioni degli ultimi dieci anni ha legiferato praticamente su tutte le materie oggetto di delega.
L’idea di fondo della normativa è che dal rumore discende una vera e propria patologia da rumore ambientale che sono causa di gravi disagi e forti costi sociali. Si deve considerare che tecnicamente le basse frequenze del rumore, il cosiddetto rumore di fondo, ha un ruolo importante nella formazione di stati ansiosi, che è incomparabile rispetto al rumore acuto ma limitato nel tempo.
Questo dipende dalla nostra memoria genetica, perché come il cane si appallottola perché ha nel suo DNA il senso di schiacciare l’erba, così per l’uomo il rumore è un pericolo cui si deve reagire. Il rumore in bassa frequenza finisce quindi per l’essere un pericolo costante, rispetto al quale non è possibile ottenere in alcun modo un effetto di copertura, né una funzione di tranquillante, come quando ci si trova in una casa posta su di un torrente, rumoroso ma non ansiogeno.
Dal punto di vista operativo agli enti locali oltre alla normativa di applicazione, spetta il controllo, con una collaborazione fra i vari livelli: ad esempio se un cittadino segnala un rumore molesto proveniente da un’azienda, lo segnala al Comune (vigilanza urbana) che trasmette la segnalazione all’Agenzia Regionale per l’Ambiente (ARPA). Questa fa una selezione delle segnalazioni, perché non può intervenire su tutto contemporaneamente, e quindi fa le ispezioni. Se ARPA riscontra una violazione della normativa, la segnala al Comune ed alla Procura della Repubblica, in quanto ci sono profili di rilevanza penale, ancorché sanabili con oblazione in via amministrativa.
Il Comune nel piano di zonizzazione decide i livelli sulla base di 6 classi stabilite a livello nazionale. Dal punto di vista urbanistico ogni intervento deve avere ad oggetto un’area il più vasta possibile, con una valutazione delle attività in essa prevalenti, non essendo possibile procedere per parcelle catastali.
Gli interventi sulle sorgenti di rumore possono essere vari: se prendiamo l’auto, la normativa ha di fatto progressivamente reso accettabile le emissioni, ma sono i comportamenti scorretti dei cittadini a causare problemi. Velocità e comportamenti sono i fattori essenziali: a Milano l’esempio del Ponte della Ghisolfa, con la limitazione della velocità diurna e l’eliminazione totale del traffico notturno, è un esempio evidente di questa realtà.
Il problema di fondo sta, come già accennato nella volontà reale di intervenire, e di intervenire con una visione complessiva dei problemi, che comprenda l’intero ciclo della vita urbana. Il mezzo potrebbe forse essere quello di convincere tutti (cittadini e amministratori) che un sistema ottimizzato di controllo del rumore fa costare meno la città.
Francesco Florulli Il problema delle misurazioni e degli investimenti necessari per renderle non solo operative ma anche credibili, è anche un problema di investimenti. Infatti se il costo di una centrale di rilevamento dell’inquinamento acustico (fonometro) è in sé non impossibile 18 – 20.000 € di costo fisso e non ripetibile, il costo variabile delle elaborazioni necessarie è al minimo intorno ai 2.500 € settimanali, ma può aumentare in misura significativa, perché per avere dei risultati scientificamente attendibili la stazione deve funzionare il più a lungo possibile.
Esistono alcune forme di rumore “ricorrenti” sulle quali si dovrebbe poter intervenire con sistemi di razionalizzazione delle attività che producono quegli specifici rumori: è il caso dei trituratori di vetro dell’AMSA, per i quali un diverso orario di lavoro potrebbe risolvere il problema in modo semplice e non troppo costoso, una volta adeguato i contratti di lavoro del personale dell’AMSA.
Esistono possibilità di incentivare l’eliminazione di fonti di inquinamento acustico, finanziando sistemi innovativi. E’ il caso dei condizionatori d’aria privati, che sono rumorosi, e spesso trasferiscono il disagio del caldo eliminato da un cittadino, su di un altro cittadino che acquisisce (involontariamente) il disagio del rumore prodotto. Se il Comune finanziasse la realizzazione di scambiatori di calore centralizzati nei condomini, che raccolgano l’acqua direttamente dalla falda , dopo il costo non elevato di scavo del pozzo, ci sarebbero importanti risparmi energetici, riduzione dell’inquinamento acustico che verrebbe concentrato in un’area ben difendibile delle parti comuni, e sinergie anche in materia di utilizzo dell’acqua.