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La Fabbrichetta

laboratorio politico aperto

lafabbrichetta

“DIAMO UN NOME A MILANO”

September 30, 2015 By admin

Incontro a La Fabbrichetta via Pepe 38 (MM Garibaldi) – Giovedi 26 maggio 2005 alle ore 18.00
con STEFANO BOERI, docente del Politecnico di Milano.

Avvicinandosi elezioni amministrative riprendono sulla stampa i dibattiti su Milano, il suo passato recente, il suo presente incerto, il suo futuro roseo o catastrofico… Si parla di verde, di traffico,di disagio abitativo,di rilancio culturale… ma di cosa davvero si sta parlando? E’ un discorso generico che vale per qualsiasi città europea? Qual’è oggi l’anima di Milano? Cos’è lo specifico di questa città? Qual è il suo nome?

A partire dalla sua connotazione urbanistica, dalla sua presenza fisica proverà a suggerire qualche risposta Stefano Boeri, docente del Politecnico.

Prosegue con questo incontro il lavoro de La Fabbrichetta volto a rinnovare “la scatola degli attrezzi” della politica milanese e a costruire pezzi di un programma di governo innovativo per la città.
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Senza la pretesa di sviluppare un intervento sistematico, si può partire da una constatazione: oggi quasi sempre chi parla di politica della città di Milano lo fa in modo generico. Ci sono spunti su temi anche importanti, come la solidarietà, la politica sociale, ma si parla di Milano come di una città astratta. Verde, competitività, qualità della vita, sono termini che potrebbero essere utilizzati per tante altre città. Guardare Milano da milanese e anche tecnicamente da architetto e da urbanista, permette di cercare di capire se è possibile costruire un’immagine di sfondo della città, che sia aderente alla sua realtà.
Milano è una città unica, interessante, ricca di cose belle e brutte, spazi, comportamenti urbani, che possiamo pensare e memorizzare.
Propongo una triplice modalità di avvicinamento a Milano che renda possibile uno sguardo sulla città, ed insieme la faccia raccontare.

1) il primo sguardo riguarda il come esiste Milano oltre i suoi confini verso nord, verso quella zona che dalla Malpensa alla linea delle sorgive vede una serie di edifici in continuo, una successione di centri commerciali, autolavaggi,ecc. che costituiscono un corpo unico attaccato a Milano. Altre città europee (soprattutto Barcellona e Londra) hanno visto espansioni analoghe: l’area urbana a nord di Milano è costituita da una serie di piccoli centri che si sono accorpati, dove storicamente si sono insediate industrie di varie dimensioni, creando una netta differenza rispetto alla zona sud, nella quale ancora oggi è presente una realtà agricola.
In questa nebulosa ci sono altre due città: la prima è data dal sistema Sempione / Valle Olona, un insieme di centri urbani saldati, legati da un sistema di viabilità importante (le autostrade dei laghi – le ferrovie nord – le ferrovie dello stato), ricchi di una presenza industriale diffusa (anche se oggi spesso in crisi, come nel tessile), e dotati di importanti servizi propri (dalla università di Castellanza alla Malpensa) e che ha in fondo tentato(attraverso Bossi e la Lega) di darsi una auto-rappresentanza politica.
La seconda città della nebulosa è costituita dal sistema Brianza, sulla carta o dall’alto una grande foglia che da Lecco arriva fino a Monza, anche in questo caso con una storia industriale importante, una volontà di auto rappresentazione rispetto alle istituzioni (resa concreta da istituti vivi e forti come l’Associazione Industriali della Brianza o nuovi come la Provincia di Monza).
Milano, come città a partire dalla sua classe politica, non ha mai voluto riconoscere questa realtà, alternando nella sua “politica estera” verso i vicini criteri di diplomazia della superbia, a criteri puramente quantitativi e demografici, comunque volti a svilire gli interlocutori. Senza mai capire che il nocciolo della questione fra le diverse entità confinanti sta nei servizi e nei rapporti di scambio legati al sistema commerciale e formativo, che insieme Milano e la nebulosa nord formano.
Il fatto che Malpensa e la nuova Fiera siano al centro di questa realtà urbana nuova darà inevitabilmente un nuovo sviluppo a questa situazione, tutto da vedere e da governare.
2) secondo sguardo su Milano, utilizzando una scala più ridotta: entrando a Milano si entra in una seconda città, quella che si sviluppa intorno al sistema delle tangenziali, che portano ogni giorno in città 850.000 macchine. Si tratta di una colossale rotatoria sulla quale sono localizzati centri commerciali ed aree ricreative aperti sette giorni la settimana, ognuna con le sue ramificazioni periferiche (Nuova e vecchia Valassina – Seregno /Meda) o secondo assi che penetrano nel centro cittadino (da sud Corso Lodi sino a piazza Missori, da nord via Novara sino a corso Vercelli), che subiscono ogni giorno l’influenza del sistema delle tangenziali;
in questa visione la periferia non è tale perché lontana dal centro, ma perché vicina a questi enormi flussi di traffico che condizionano in modo decisivo tutta la vita locale, su questioni importanti come gli spazi verdi, il traffico, la qualità dell’aria che si respira. Ragionando su questa visione della città, bisogna parlare di un principio di cittadinanza che non è solo basato sulla residenzialità, perché ci sono tutta una serie di categorie di nuovi cittadini non residenti:
city user (come dice Guido Martinotti), ragazzi che bazzicano il centro storico, uomini d’affari, frequentatori del sistema moda, studenti. Si tratta di persone che entrano in città, usano il suo sistema e lo influenzano.

3) terzo ed ultimo sguardo, riguarda la città che sta dentro i confini amministrativi, che è diventata un arcipelago, nel quale convivono molti sotto sistemi: almeno tre città legate alla moda (Montenapoleone – porta Genova – via Bergamo / Fogazzaro) e deve far riflettere il fatto che se ne voglia creare una nuova per decreto sull’area Garibaldi –Repubblica; poi una cittadella giustizia, che ha determinato uno sviluppo specifico di tutta l’area intorno al Tribunale, con interi stabili occupati da uffici di avvocati; una città dello sport è San Siro, da piazza Lotto al Meazza.
Isole a propensione funzionale che formano un caleidoscopio, un arcipelago in cui le singole isole possono essere potenti: economicamente o per la loro capacità di relazione con isole analoghe fuori dai confini cittadini. Isole che tra loro non si parlano, come già avvenuto in passato per realtà aventi i loro spazio specifici (arte – industria etc.).

Queste tre visioni prese singolarmente non ci danno il significato compiuto della città, ma se le sovrapponiamo in un gioco di carta, otteniamo una rappresentazione più completa della realtà cittadina.
Se infatti pensiamo alla Scala 2, presa a sé stante può essere una realizzazione buona o cattiva a seconda di generiche prese di posizione. Ma se la vediamo inserita nel sistema della nebulosa nord, posizionata a poche centinaia di metri dal sistema delle tangenziali lungo l’asse che da Sesto San Giovanni arriva alla Stazione Centrale nel centro, ed inserita nella nuova cittadella del sapere e del terziario che è la Bicocca, abbiamo una lettura del tutto diversa della Scala 2.

Si tratta di ripensare, o meglio di pensare per la prima volta ad una “politica estera” del comune di Milano, che non tema gli interlocutori esterni, con cui anzi dovrà necessariamente discutere alla pari per poter affrontare i problemi della città.

Ci sono altre città da difendere: prime fra tutte quella degli anziani e quella dei bambini, che hanno bisogno di recuperare gli spazi e compensare la mancanza di vuoti che si avverte a Milano. Le occasioni perdute, a partire da quelle dei 17 milioni di metri quadri di aree dimesse censiti nel 1985, ed oggi male occupati nella quasi totalità, al progetto Città della Moda che non coinvolge i cittadini al Garibaldi – Repubblica. Studiando come recuperare queste città c’ è ancora uno spazio notevole per raggiungere risultati apprezzabili.

La politica dei partiti sembra in questo senso proporsi ancora come un passaggio obbligato, senza e contro il quale sembra essere impossibile anche solo fermare un progetto suicida, come quello della riqualificazione di piazza Schiavone alla Bovisa. Ma è anche vero che proprio il percorso della Fabbrichetta è partito dalla considerazione che i partiti devono esistere e fare il loro mestiere, a noi di prospettare vie nuove e di fare sentire a quel sistema la nostra voce e le nostre proposte.

Certo le esperienze di tutti convergono nel segnalare che l’amministrazione così come esiste non ascolta i cittadini, favorita anche da un sistema che premia in modo esagerato la maggioranza, lasciando l’opposizione completamente sprovvista di risorse. Così mentre la giunta commissiona studi miliardari, l’opposizione fa fatica a collezionare i dati necessari a capire la realtà.

La classe politica espressa in città negli ultimi 15 anni non si cura per niente di sfruttare le potenzialità di elaborazione fornite dall’università e dagli altri centri di produzione delle proposte, la classe politica non sa farsi committente che di progetti mirati, spesso orientati a fare cassa. La capacità di ascolto è quindi quella di un ceto politico che non può recepire sistemi più complessi di quelli che deve poi governare.

Tutto questo lascia una città che in termine di stile di vita è nella retroguardia in Europa, nella quale tutti si adeguano cercando una strada negli eccessi normativi esistenti. Il sistema finisce per orientarsi da solo, e appena si trova una breccia ci si infila per determinare il cambiamento. Non è più possibile rifarsi a cose come il “Piano del commercio”, ma si deve trovare il modo di liberare le iniziative che lascino emergere le specificità dei soggetti. Ad esempio se l’imprenditore edile fosse davvero tale e non anzi tutto uno speculatore immobiliare, potremmo liberare quei modelli di impresa che non misurano le loro realizzazioni in metri cubi, ma in qualità complessiva dell’opera realizzata.

In questo senso 500.000 mq di mansarde autorizzate negli ultimi cinque anni, significano 15.000 abitanti in più a Milano, ma chi fa il conto dei 500.000 abitanti che nel frattempo ha perso Milano? Chi, essendo impossibile governare, questo che è stato un vero proprio fenomeno di emigrazione per Milano, ha cercato di verificare che fine hanno fatto i vani abitativi nei quali risiedevano?
Le ultime proposte da parte dell’amministrazione comunale risalgono alla giunta Formentini, quando l’assessore Serri, al verificarsi di alcuni parametri verificabili, ipotizzava un premio di qualità in termini di volumetrie supplementari. Gli immobiliaristi si allinearono nel boicottare quelle proposte, salvo contendersi gli effetti a colpi di mazzette.

Una delle decisioni cui un’analisi del sistema città dovrà portare sarà quella dell’eventuale pedaggio per la circolazione in città, che è possibile, ma che passa per una serie di criteri (quali sono i confini) e di conflitti (con i centri maggiori dell’hinterland) che vanno preventivamente studiati ed avviati a soluzione prima di emanare la normativa.

Di certo il Comune di Milano deve recuperare quella che è stata una delle sue caratteristiche storiche per tutto il novecento e gran parte dell’ottocento, ovvero di essere dalla parte dei cittadini. Questo rapporto perso, che si coglie ben nel passaggio dal “ghisa” alla “polizia municipale”, può e deve essere rivisto e cementato con fatti concreti di collaborazione.

La tendenza alla nostalgia non deve comunque essere un fatto negativo, come riferimento ad un modello di città ormai sorpassato, ma essere di guida in un percorso della memoria, che consenta ai singoli cittadini di recuperare le motivazioni delle trasformazioni che subiscono, e sulle quali possono essere chiamati anche a decidere.

Filed Under: archivio, incontri Tagged With: la fabbrichetta, milano, politica

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