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La Fabbrichetta

laboratorio politico aperto

lafabbrichetta

“E’ ancora possibile limitare il traffico a Milano?”

September 30, 2015 By admin

Prof Marco Ponti
Docente di Economia dei trasporti
Politecnico di Milano
Introduzione di Pier Vito Antoniazzi

Corriamo volentieri il rischio di ripeterci ricordando che la Fabbrichetta è nata per rinnovare la scatola degli attrezzi necessaria per ragionare su Milano, anche con un occhio alle idee ed alle cose concrete da trasmettere al candidato sindaco della sinistra. Il tema del traffico è di portata tale da fare tremare le vene nei polsi, ma la sinistra ha saputo in passato affrontarlo in modo innovativo, a partire dai ragionamenti. Così tra il 1985 ed il 1990, quando in Consiglio Comunale la discussione a proposito del secondo referendum sul traffico (che voleva estendere ai bastioni il limite) venne drammaticamente cancellata e rinviata sine die a causa della morte durante l’ultima seduta consiliare di legislatura del socialdemocratico Cucchi. Così nel 1989, quando il primo allarme anti inquinamento venne lanciato a seguito dei lavori di una commissione coordinata da Bruno Ferrante, all’epoca capo di gabinetto del Prefetto Caruso. Per la prima volta un’amministrazione ammetteva l’esistenza del problema inquinamento, per di più in una città come Milano che “per antonomasia” non si può fermare. Dopo quella stagione innovativa il comune sull’argomento si è limitato a fare da comparsa, lasciando la scena in parte alla regione.
Chiediamo oggi a Marco Ponti, che studia da tempo i problemi del traffico, di darci il suo contributo per ragionare sui problemi del traffico a Milano, e su cosa aspetta la prossima amministrazione comunale.
Il problema traffico ha soluzioni, ma non ricette magiche: non c’è una misura unica che risolve tutto, ma una serie di misure parziali, anche pesanti per come possono incidere sulla vita dei cittadini, che vadano in una direzione unica, quella della riduzione complessiva del traffico cittadino.
Questo innanzi tutto perché Milano, come molte altre metropoli, soffre dell’effetto detto dei vasi comunicanti: se si ferma totalmente il traffico in centro, immediatamente si rende caotico il traffico in periferia, ed analogamente per l’inquinamento che ne consegue.
E’ anche vero che basta poco per ottenere dei risultati, magari piccoli, che pero devo essere stabilmente acquisiti per avere un effetto concreto e per evitare i vasi comunicanti. La stabilità degli effetti è il nocciolo del problema di qualunque misura di regolazione del traffico.
Ci sono anche aspetti sociali che inducono a non pensare a misure uniche e drastiche: non si può demonizzare il traffico generato da quanti arrivano ogni giorno in macchina dagli insediamenti urbani più o meno lontani dal centro cittadino, perché queste persone sono nella quasi totalità cittadini che, privi di alternative sostenibili, sono sfuggiti agli alti costi della città.
Una delle proposte comunque sul tappeto è quella del “road pricing”, e su questa la prossima amministrazione dovrà non solo lavorare, ma produrre risultati. In proposito si possono fare alcune asserzioni anche provocatorie: se seguissimo l’esempio di Londra a Milano i cittadini che usano il mezzo di trasporto pubblico potrebbero essere pagati invece di pagare il biglietto, e se ci limitassimo a quello francese, quei cittadini potrebbero semplicemente non pagare nulla. Questo perché i costi di esercizio delle aziende di Londra o Parigi sono enormemente inferiori a quelli nella nostra azienda municipalizzata, ed è doloroso a dirsi, principalmente per la componente di costo del personale. Non che i guidatori ATM abbiano stipendi principeschi, ma da un lato c’è una scarsa produttività dovuta alla scarsa efficienza del sistema del trasporto pubblico, e dall’altro sono stati innescati meccanismi corporativi tali che oggi in ATM guadagna di più chi lavora di meno. Ci sono incredibili residui di passato che si mischiano a nuove intolleranze, come il divieto di assumere nelle società di trasporti personale non di nazionalità italiana, ciò che preclude l’accesso a fasce di lavoratori a più basso reddito.
Per iniziare una spirale virtuosa, fatta di piccoli passi, con effetti stabili, potremmo spostarci rapidamente da una situazione vicina a quella del Cairo (con tutto il rispetto per la capitale egiziana) ad una più prossima a Stoccolma: basterebbe cambiare la politica delle sanzioni. Sui comportamenti scorretti, l’Economist ha recentemente definito Milano la capitale mondiale della sosta in doppia fila, ed un fondo di verità c’è. Il fatto certo è che per qual comportamento, la sosta in doppia fila, altrove, a partire dagli Stati Uniti, c’è certezza di sanzione. Da noi certezza di impunità, ma peggio di tenere un comportamento accettabile, ed economicamente vantaggioso: col basso numero di multe ricevute, parcheggia quotidianamente in seconda fila non costa più di un caffé al giorno. Se invece la sanzione fosse certa e il comportamento ci sarebbe un effetto di civiltà e di educazione, aggiustando inoltre il prezzo complessivo, perché aumenterebbe, in termini di multe o di spesa per parcheggio, la spesa complessiva di chi in città può o deve permettersi di entrare, a vantaggio di tutta la collettività. C’è il problema più vasto della sosta delle auto dei residenti, per il quale si calcola che ¼ delle auto siano parcheggiate in permanenza in divieto di sosta.
Il sindaco uscente ha ottenuto la nomina a Commissario straordinario per il traffico, sperando di affrancarsi dagli interessi di partito, ma poi non ha saputo resistere alle pressioni di Alleanza Nazionale che ha cavalcato la tigre del rifiuto della rigidità delle norme. Esempio lampante quello della restrizioni degli orari per le consegne ai commercianti, che sono state sì limitate ad uno specifico orario, ma con una riserva, con la quale sono fatte salve “le esigenze produttive o commerciali”, ovvero tutto. Ed infatti non ci sono più limitazioni.
Una delle cose più banali da fare sarebbe provvedere a ridisegnare l’arredo urbano, ad esempio facendo marciapiedi più alti, per evitare che le macchine ci salgano, e con corsie bene disegnate, rendendo evidente dove non è ammessa la sosta.
Misura altrettanto banale, ma di forte impatto, vietare completamente la sosta nelle aree ad almeno 30 metri dai semafori, perché l’efficienza complessiva del sistema dipende dal numero di auto che passano ad ogni tempo di verde.

Uno degli effetti combinati di tutte queste misure sarebbe quello di liberare il trasporto pubblico, che presenta tutta una serie di aspetti specifici su cui intervenire. Quello delle corsie riservate al mezzo pubblico è un argomento caldo: si potrebbe renderle fruibili per auto con almeno 3 persone a bordo, auto a basso impatto ambientale (elettriche) o semplicemente che paghino un ticket elevato, perché queste sono le leve del “road pricing”: il ricco paga per gli altri, e le tariffe contengono elementi di equità più forti dei divieti.
Parlando di mezzo pubblico, fra tram ed autobus ecologici la scelta se orientata solo economicamente non può che essere per l’autobus, perché il tram essendo anelastico ha bisogno di un sistema di protezione e supporto dei binari costoso. L’autobus ha rispetto al tram un costo infrastrutturale di circa ¼, ma senza essere legato ai binari serve più gente ed evita la cosiddetta “rottura di carico”, ovvero il cambio di mezzo, tipica del tram.
C’è il mito del ferro, inteso principalmente come treno, sul quale è bene non farsi illusioni: solo una piccola percentuale di utenti può essere realisticamente spostata dalla gomma al ferro, anche per i costi enormi delle infrastrutture necessarie, che rendono il nostro trasporto su ferro il più caro d’Europa.
Ed a questi altissimi costi corrispondono miglioramenti reali limitati, anche a fronte di potenzialità smisurate: la linea Milano – Torino sulla quale viaggiano oggi 28 treni semivuoti al giorno, avrà a linea completata una potenzialità di 350 treni al giorno. Che non sembra potrà essere sfruttata adeguatamente, rendendo l’enorme investimento davvero poco razionale.
Il mezzo pubblico e la politica dei trasporti sono in stretta relazione con quello della densità urbana e della rendita degli investimenti immobiliari: tornando alla fascia di popolazione che ha lasciato la città, per insediamenti urbani a prezzi più accessibili, l’arrivo di una linea metropolitana ha un effetto dirompente, creando nuove tensioni economiche e sociali in quegli insediamenti. Questo perché c’è una relazione problematica fra trasporti pubblici e densità:le alte densità facilitano l’efficienza dei mezzi pubblici, limitando la dispersione del trasporto, ma innescano processi di tensione sulla rendita immobiliare. In questo senso i vincoli facilitano la rendita, mentre il liberismo sfrenato in materia di trasporti, all’estremo farebbe crollare i prezzi.
Anche le metropolitane sono un ottimo modo di viaggiare in città, ma hanno un costo altissimo e investimenti di questo tipo non possono essere affrontati soltanto capitalizzando alcune proprietà comunali per fare cassa: è necessario un consenso sul livello di investimenti e sui progetti, che vanno comunicati alla popolazione, il cui consenso è necessario.

Il problema sta nel modello di vita che va in un’altra direzione, e non si tratta di fatto milanese: in Veneto è stato fatto un piano di trasporti ferroviari che avrebbero dovuto portare molti pendolari ad abbandonare l’auto, ma è stato il piano ad essere abbandonato dopo due anni, perché i treni continuavano a viaggiare vuoti negli orari di morta e ad essere insufficienti in quelli di punta. Non si deve poi dimenticare che il sistema ferroviario è fatto di monopoli (pubblici, semi pubblici e privati) non contendibili, che aggiungono alle aspettative dei loro azionisti quelle dei loro dipendenti, generando possibili tensioni sociali non secondarie.
Un nemico forte della politica dei piccoli passi stabili è proprio l’insieme delle corporazioni, che hanno una capacità di alzare la voce e di farsi ascoltare dalle istituzioni e dalla collettività, evidenziando i loro problemi a scapito di quelli di tutti. Oltre ai dipendenti dei monopoli, basti pensare ai commercianti.
Certamente sono da contare fra le misure da perseguire all’interno dei piccoli passi, le piste ciclabili, sulle quali anche io ho avuto dubbi in passato, ma l’esempio delle grandi città del nord è positivo, e quindi che siano piste vere e proprie, marciapiedi allargati o percorsi verdi, ben vengano.

Un’alternativa al “road pricing”, argomento trasversale in diverse misure possibili, è quello del “park pricing”, in particolare a Milano. Infatti Milano non è Londra, ha una conformazione urbana tale per cui il ticket avrebbe un forte impatto sociale. Fare invece pagare a tutti il parcheggio è economicamente più facile, anche se le controversie sugli aspetti giuridici ed il timore di reazioni sociali forti, non hanno fino ad oggi fatto fare passi significativi su questa strada.
Il parcheggio sotterraneo è un utile supporto alla politica della sosta regolamentata, anche se ci sono le resistenze degli urbanisti e se le esperienze non sono tutte positive.
Tutte queste misure si possono definire discriminazioni dei comportamenti: possono essere proposte a proposito delle emissioni, favorendo quindi la circolazione dei veicoli a basso impatto ambientale (euro 4 ecc.). Anche queste politiche hanno un impatto sociale, perché non si possono obbligare le categorie a basso reddito a cambiare auto, ma il risultato da conseguire è troppo importante a livello complessivo per farsi fermare da queste considerazioni.
Anche le dimensioni dei veicoli devono diventare una discriminante: lo spazio pubblico è un bene cui va dato il giusto valore, ed un SUV deve pagare più di una Smart, indipendentemente dal fatto che questa possa essere una quarta macchina.

All’interno di una politica di questo tipo anche la realizzazione di viabilità sotterranea con tunnel riservati alla circolazione delle auto, potrebbe essere parte del progetto, perché libera le strade, promuove una circolazione fluida e quindi meno inquinante in quanto libera dall’effetto “stop and go”. Inoltre la tecnologia relativa alla realizzazione e ventilazione dei tunnel ha fatto grandi passi avanti negli ultimi anni.
Un altro ausilio tecnologico importante può venire dal “transponder”, noto per la sua applicazione “telepass”, che ormai è un circuito integrato applicabile su di un foglio di carta, e se incollato sui vetri delle auto permette una serie di soluzioni attive (controllo degli accessi) e repressive (multe a tappeto), che potrebbe liberare risorse per costruire una contropartita fatta di servizi ai cittadini (parcheggi – corsie preferenziali – piste ciclabili).

Se il risultato delle misure combinate che l’amministrazione può mettere in campo sarà positivo, avremo nelle strade un numero ragionevole di veicoli, creando meno inquinamento, e allora si potrà orientare la politica alla fluidità, badando di evitare l’effetto dei vasi comunicanti, ovvero non liberare le strade per attirare nuove auto.

La continuità della giunta Albertini con i progetti conosciuti della candidata Moratti stanno proprio nel subire questa percentuale del 60% dei cittadini che scelgono l’auto, rispetto alla minoranza che sceglie il mezzo pubblico. Avendo chiaro l’obbiettivo di migliorare il trasporto pubblico di superficie, moderare il traffico e incentivare l’uso del treno, con i provvedimenti citati ed altri ancora si può riuscire nell’impresa di migliorare le condizioni del traffico.

Ci sono alcune parole d’ordine che si possono evocare, e che per gli urbanisti rappresentano contributi concreti alle politiche di modernizzazione del traffico urbano:
– intermodalità, nel senso di favorire gli scambi di mezzo al fine di rendere più fluido il sistema nel suo complesso
– informazione on line, per contrastare l’effetto vasi comunicanti dovuto ad ogni piccolo incidente ed inconveniente nella vita di ogni giorno, consentendo di non creare i tappi nella circolazione
– arrivare a porre un fine alla crescita esponenziale delle vetture in città, con il controllo da parte del comune che ad ogni nuova immatricolazione corrisponda un posto auto
– gestione attiva della politica dei taxi, dal taxi sharing come discriminante positiva accanto a quelle già evocate, e l’aumento del numero delle licenze con metodi che proteggano il valore delle licenze attualmente in essere

Nella politica di informazione un capitolo a parte va lasciato all’effetto annuncio: cambiamenti anche importanti e controversi non hanno possibilità di essere recepiti se non sono opportunamente e tempestivamente comunicati e spiegati ai cittadini.

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MILANO CHIAMA L’ASSICURATORE

September 30, 2015 By admin

Francesco Bizzotto
Già Ufficio Studi FIBA CISL

Da alcuni anni alcune persone di diversa estrazione, ma accomunate dalla passione politica e dall’esperienza assicurativa, hanno messo a disposizione le loro competenze, dando vita all’Ulivo delle Assicurazioni.
Il riscontro purtroppo non è stato positivo: i partiti sono refrattari a recepire competenze che non possano essere strumentalizzate e quindi non hanno dato la sponda che ci si aspettava.
Quella delle competenze è la questione della società civile, nel senso che una società civile organizzata pone la questione della rappresentanza in modo alternativo rispetto a quello proposto dai partiti.
Nella professione assicurativa ci sono ampie riserve di competenza, benché poco conosciute tanto a destra che a sinistra, a causa di una scarsa considerazione in cui la politica tiene la cultura d’impresa in generale e quella del rischio in particolare.

Il settore assicurativo ha una ricca produzione di cultura aziendale, ad esempio nel CINEAS “Consorzio Universitario per l’ingegneria nelle assicurazioni”, all’interno del quale Politecnico di Milano e industria assicurativa promuovono lo studio ingenieristico del rischio (risk engineering) con la tecnica propria della gestione degli eventi dannosi (loss adjusting). Il tutto arrivando anche alla produzione di corsi formativi per attività di servizio a tutto vantaggio della collettività, quali quelli di “Hospital Risk management”.
Il mondo assicurativo sta cercando in molti suoi settori di abbandonare l’autoreferenzialità ancorata al passato nella misurazioni dei rischi, che è entrata in crisi.

Da esperienze innovative di questo genere possono venire dei suggerimenti per l’amministrazione cittadina, che sia di stimolo per un nuovo approccio comune fra compagnie e cittadini ai problemi legati alla copertura dei rischi. In questo senso molto interessante sarebbe l’idea che il comune spinga le compagnie a proporre nell’area metropolitana forme di copertura veramente ampia (cosiddetta all risk), che non si basi sul tradizionale rimpallo fra garanzie ed esclusioni, ma copra per intero una categoria di rischi. Se si prova ad applicare questo approccio alle polizze dei condomini, si ha un’idea immediata di quale ritorno possa esserci per i cittadini intermini di maggiore sicurezza. Infatti insieme amministrazione e cittadini investirebbero in una iniziativa di lungo periodo, volta all’equilibrio ed alla stabilità di un importante settore della vita cittadina, tale da favorire il controllo di una serie non trascurabile di rischi.

Oltre che per progetti particolari come questo, gli assicuratori cittadini, che sono molti ed importanti non solo all’interno della categoria, potrebbero essere chiamati dalla nuova amministrazione a partecipare ad un tavolo nel quale far convergere la ricerca di soluzioni a problemi di ordine generale della città.
Il traffico ed i suoi legami con la copertura assicurativa per antonomasia, quella di RC auto, ma anche i temi dell’autosufficienza, che possono vedere un approccio multidisciplinare fra volontariato, istituzioni e privati, limando gli sprechi dovuti alla cronica duplicazione di interventi, ed arrivando fino quasi a fornire uno sportello unico delle soluzioni a questo grave problema tipico della città che invecchia.
Il mondo assicurativo ha in sé competenze e cultura che possono permettergli di essere utilmente messo se non al servizio, quanto meno in sintonia con una nuova politica di una nuova amministrazione cittadina.

Dobbiamo capire cosa può fare l’amministrazione per ridurre veramente i rischi dei cittadini, all’interno di una politica vera dell’emergenza. Probabilmente il primo compito dell’amministrazione è quello di prevenire ed informare: cercare di prevenire le situazioni di rischio, e nel contempo dare il massimo di informazione e trasparenza su questi temi.

Nell’economia nazionale la componente assicurativa milanese ha un peso molto rilevante, che non ha un adeguato ritorno verso la città. A Milano vengono sottoscritti, a seconda delle valutazioni, fra il 20 ed il 27% dei contratti di assicurazione che annualmente si accendono in Italia. Cosa resta di questo a Milano: sempre meno in termini occupazionali, benché non sia ancora cominciata una vera delocalizzazione, ma soprattutto molto poco sul piano sociale.

C’è anche una visione meno ottimistica del mondo assicurativo, che è sempre più improntato alla logica del breve periodo ed all’assorbimento nella logica finanziaria di quella che dovrebbe essere un’industria di servizi. Esistono dubbi che effettivamente azionisti e manager vogliano e possano impegnarsi in iniziative che non rientrino nella loro visione di immediato ritorno di utilità.
 
Nota per La Fabbrichetta di Francesco Bizzotto
 
Il mercato. Premi incassati ogni anno in Italia: 100 miliardi di euro (65 Vita, 18 RCA e 17 altri rami Danni). Per il 12,5% (Vita), 11,1% (Danni) e 7,3% (RCA) in provincia di Milano.
Riserve e investimenti per 500 miliardi.
 
Tipico servizio della Società, con la sua mediazione ha reso possibile l’iniziativa individuale (che esplora la possibilità, rischia). Non si contrappone ma aggiunge valore alle Comunità.
 
Le domande. Quale servizio è in campo a Milano? Quali innovazioni sono mature, necessarie? Cosa ritorna alla città in termini di investimenti? È possibile un dialogo che apra allo sviluppo e associ l’assicuratore, soggetto di Welfare e investitore istituzionale di equilibrio (il suo 1° interesse)?
 
Sì. Su tre terreni in particolare Milano chiama l’assicuratore a crescere e innovare:
Aiutare di più le nostre IMPRESE che competono nel mondo: con polizze All Risks e con informazioni sistematiche sui rischi specifici (in Usa l’80% degli assicuratori promuove servizi di completa gestione dei rischi; in Inghilterra il 30%; in Italia il 6%).
Definire una nuova polizza SALUTE per la FAMIGLIA, che consenta di scegliere differenze di prestazioni nel pubblico (solventi): per personalizzare la cura, premiare le eccellenze mediche e far affluire risorse agli ospedali. Una polizza che preveda e incentivi percorsi di Prevenzione.
Ripensare la RCA. Il sistema di Indennizzo diretto è buona occasione per: assicurare la Patente e legare la dinamica del premio al comportamento di guida (il vero rischio) anziché al sinistro (il caso); investire in Prevenzione (Francia); Assistere nel sinistro (intervento immediato).
VIVIBILITA’. L’assicuratore ha un preciso interesse alla salute dell’uomo e dell’ambiente. È l’attore di mercato per eccellenza di questi equilibri. Come coinvolgerlo? Ascoltarlo, parlarne!

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Per la cultura cittadina c’è davvero il “crollo delle aspettative” recentemente evocato ? MILANO CITTA’ MUSEALE ?

September 30, 2015 By admin

Prof. Paolo Biscottini
Direttore del Museo Diocesano di Milano

Nella sala in cui si svolge questa riunione c’è su di una parete la foto di un elefante in ginocchio, che rende perfettamente l’idea della situazione della cultura milanese: una grande potenzialità, un enorme patrimonio , un incredibile ricchezza di idee e soprattutto una grande storia di civiltà e di pensiero. Questa è Milano, un gigante piegato su di sé, sul il crollo delle sue aspettative, parafrasando un’affermazione di Luca Doninelli.
San Carlo, dopo la peste, nel suo famoso memoriale invocava il risveglio di Milano: alzati Milano cieco!
Così noi oggi vorremmo riassaporare il risveglio culturale di Milano e vedere la nostra città recuperare il suo ruolo morale e culturale, in Italia, in Europa, nel mondo.
L’amministrazione comunale uscente non ha colto la gravità della crisi esistente e l’ha ridotta ad un problema finanziario, come se la carenza dei fondi ne fosse responsabile. Il problema è più profondo. Le risorse finanziarie sono certamente fondamentali, ma da un lato è necessario ripensare e rivedere i costi (non è giunto il tempo di istituire nell’ambito comunale il cosiddetto bilancio di settore?), abbassandoli drasticamente, con una politica oculata e meno faraonica (penso soprattutto alle mostre), mentre dall’altro bisogna formulare progetti capaci di attrarre l’attenzione del privato, che sempre di più vuole capire la serietà delle proposte che gli vengono presentate, disposto anche a non discutere soltanto il suo ritorno d’immagine. Il problema è questo. Il progetto. E’ questo è il problema di cui dovrà farsi carico il nuovo sindaco, quello di un progetto culturale che, tenendo conto delle grandi risorse culturali di Milano, le orienti verso un nuovo sviluppo, capace di suscitare l’interesse anche del mondo finanziario.
Manca, è mancato un progetto inteso come “modifica del presente” e quindi come proiezione nel futuro dell’identità culturale della città.
Si è parlato della grande potenzialità museale cittadina, del suo incredibile patrimonio artistico (quale altra città vanta la presenza così importante di opere di Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Caravaggio, Boccioni ecc., solo per citare i giganti?). Perché il Sindaco di Milano non si fa interprete di un progetto che prescindendo dalle diverse proprietà delle opere (lo Stato, il Comune, la Chiesa, i privati ecc.), le consideri nella loro appartenenza a Milano?
I beni culturali di Milano sono o non sono innanzi tutto beni dei milanesi, della città? E perché il Sindaco pensa di doversi occupare e preoccupare solo di quelli di proprietà civica? Non è forse giunto il momento di aprire un tavolo di concertazione fra i vari musei cittadini e definire con loro il progetto culturale di Milano? Con loro, con le Università, con i Centri di ricerca, con la Scuola, con i grandi quotidiani e via dicendo, è necessario aprire un confronto dal quale il Sindaco possa trarre elementi per la sua proposta. Non la proposta dell’Assessore alla Cultura, quella del Sindaco. E’ forse infatti giunto il momento in cui il Sindaco assuma su di sé la responsabilità della Cultura, perché è la responsabilità più alta, quella in cui l’identità ambrosiana incrocia il presente e prospetta il futuro. Così possono nascere i nuovi musei, così i vecchi rimescolano le loro carte e le giocano in una prospettiva coerente e solidale. Così la cultura esce dai suoi recinti ed entra in circolo. Penso alle periferie, ma anche al centro, con la sua straordinaria capacità propositiva. Penso che un progetto culturale vero potrebbe contemplare la fondazione (anche architettonica) di nuovi musei e la rigenerazione di quelli esistenti. Immagino che la programmazione culturale tenga conto della scuola, entri in essa e da essa riesca nella forza creativa dei giovani. Il problema delle periferie e più in generale del degrado non è anche, e forse soprattutto, un problema di valori e quindi di una cultura che non c’è, appiattita sul gusto, sulle mode e nel complesso priva di un centro?
Il Museo in un simile contesto può fare molto, ma bisogna tornare a credere in esso e a puntare sulla sua capacità di proposta.
Si parla, si è parlato talora, dell’anima di Milano. E non si sa bene che cosa voglia dire tutto ciò. Ma se alla parola anima sostituiamo la parola identità, allora diventa più semplice e non astratto lavorare intorno ad un progetto che tenda a recuperare l’identità ambrosiana in una prospettiva ampia, con iniziative non effimere.
Il problema non è certo solo cittadino, ma nazionale: mettere la cultura al centro della strategia politica non è un’operazione elitaria, ma la costruzione del nostro futuro sulla base di un patrimonio che attraverso la cultura e l’arte trasmette un’eredità fatta di valori morali. Questo è reso più difficile dalla scomparsa in Italia della grande committenza, e dalla nascita della cultura dell’evento, che celebrando l’effimero svilisce la nostra storia, il nostro patrimonio artistico, i nostri stessi artisti, ignorati da tutti.
Che ne è dell’arte del secondo Novecento lombardo? Chi ha provveduto ad essa? Quale Museo si interessa di questi artisti, oggi magari settantenni, o di quelli più giovani?
Milano è stata storicamente grande nell’arte di tutti i tempi ed anche in quella recente ha espresso e continua ad esprimersi a livelli altissimi. Ma chi, al di fuori degli addetti ai lavori, lo sa? Nei grandi Musei del mondo vediamo opere di Lucio Fontana (che può essere detto milanese), di Piero Manzoni (milanese), di Castellani ecc. , ma gli altri? E perché Milano non ha un Museo dedicato a Fontana? Oppure ai futuristi (quanto si battè per questo il compianto Tadini!) ?
Abbiamo tanto da fare perché l’elefante in ginocchio si alzi e riconosca con orgoglio la sua identità.

Durante il periodo dell’egemonia culturale social-comunista e del potere culturale craxiano, gli artisti se non erano organici a queste realtà non avevano chances. Oggi, o si piegano al mercato ed alla sua violenza, oppure non esistono.
A differenza poi di quanto avviene ad esempio negli Stati Uniti d’America, il mercato non lavora in collaborazione con le istituzioni culturali, e queste ultime sono affette da un moralismo snobistico, che pretende la separazione totale di mercato e cultura. Questo ha portato da un lato all’isolamento della cultura accademica, mentre il mercato si è definitivamente separato da premesse culturali. Alcuni galleristi hanno fatto grandi investimenti su artisti che poi non hanno avuto occasione di emergere, principalmente a causa della latitanza dell’istituzione che, sola, può legittimare operazioni di promozione culturale.

C’è una metafora della situazione data da un recente evento teatrale: in questo periodo il Piccolo Teatro propone nel doppio cinquantenario “Madre coraggio ed i suoi figli” di Brecht, rappresentato, in modo per altro bellissimo, con un’attenzione alle coreografie tale da mettere in secondo piano la forza del testo, cosa che se è accettabile in uno spettacolo operistico (la specializzazione del regista Carsen), lo è molto meno nel teatro di prosa. Infatti si perde lo spessore del testo, la profondità dell’autore, per di più su di un argomento di assoluta attualità quale la guerra.
Così nella politica culturale cittadina, resta un’impressione di eleganza e raffinatezza senza alcuna profondità di pensiero.

E’ necessario un rinnovamento culturale vero e non di facciata.
Avere una carica di speranza, in questa situazione è possibile solo sperando nel nuovo sindaco, e nel fatto che le sue scelte non vengano condizionate dai vari salotti milanesi.
Dal nuovo sindaco si può sperare un gesto simbolico forte: l’abolizione dell’assessorato alla cultura, e l’avocazione alla competenza del sindaco stesso del ruolo e dell’impegno per una strategia di costruzione di un progetto culturale per il futuro.
In questo modo il sindaco potrebbe avvalersi delle competenze di altri specialisti, coinvolgendo ogni assessore nella responsabilità di una politica culturale visibile in assoluto.
Da una strategia culturale di questo tipo, può discendere un orgoglio municipale che si deve concretizzare anche in cose minime, quali le modalità di conservazione della città, il cui scempio è stato perfezionato con la distruzione della sky-line
neoclassico della Scala.
In questo sta il grande ruolo del sindaco, ripartire dalle radici lombarde della nostra cultura, nella visione dell’innesto di queste radici nella cultura globale.

Questo evidenzia la mancanza di un ruolo di guida e consiglio nelle scelte culturali dei cittadini: non serve il minimalismo funambolico della cultura televisiva, ma il progetto di un sindaco e della sua amministrazione.
Il progetto presuppone una modifica del presente, questo il senso da dare ad un lavoro culturale concreto ed attento.
La speranza c’è, va concentrata sulle persone. Va concentrata sul sindaco. Che possa pensare la cultura a 360 gradi, nei musei ma anche portandola nelle carceri, quindi ovunque. Bisogna ricollocare la cultura al centro per uscire da una rete di mistificazioni che ha finito col far perdere a tutti il senso critico.

E’ necessario riflettere sui motivi per cui Milano non è stata sino ad oggi in grado di organizzare un’offerta culturale che abbia un minimo di struttura logistica, come hanno fatto ad esempio in modo molto concreto Napoli e la Campania.
(P. Biscottini) Questa mancanza è un esempio di mancata coordinazione fra gli attori del sistema, ma prima ancora una dimostrazione di scarso interesse per la cultura in sè.
Gli allestimenti faraonici degli eventi più visibili rappresentano uno spreco, per la spesa concentrata sulle strutture temporanee, senza nessuna ricaduta sulle strutture permanenti.
(P.Biscottini) esiste la possibilità per l’amministrazione di governare questi eventi, orientando e coordinando le attività museali; va anche stimolata la responsabilità dei funzionari e dei direttori di museo nel controllo della spesa.
L’organizzazione dei flussi di visitatori agli eventi culturali risente certamente dell’assenza di una politica globale, perché altrimenti non si spiegherebbe perché un patrimonio come quello dell’Ambrosiana sia così trascurato.
(P. Biscottini) certamente ci vogliono politiche nuove anche sulla biglietteria. Ad esempio si potrebbe pensare al sistema anglosassone dell’offerta libera, che spesso finisce per essere vantaggiosa per l’ente museale.
Esiste una sottovalutazione della cultura scientifica, onda lunga della cultura crociana, che porta a limitare l’importanza di musei come scienza e tecnica o scienza naturale.
(P. Biscottini) pur nel successo di pubblico costante, l’offerta dei musei scientifici cittadini non solo non è aumentata negli ultimi cinquanta anni, ma ha visto un progressivo deterioramento delle strutture di quei musei.

La devolution rischia di avere nel campo museale lo stesso effetto dirompente della questioni dei diritti televisivi nel mondo del calcio: l’offerta nazionale deve essere globale e non si possono concentrare le risorse nelle città d’arte di punta, ma diffonderle ad ogni livello. Analogamente a livello cittadino fra le varie istituzioni museali.
(P. Biscottini) a livello regionale in Lombardia esisteva una commissione musei, oggi abolita, che aveva il compito di coordinare per fare in modo che all’interno di un progetto collettivo ciascuno avesse un ruolo, e l’insieme si valorizzasse. Oggi questo ruolo, anche nel rispetto delle norme sui beni culturali, può essere utilmente ricoperto dal sindaco, sotto la cui responsabilità si faccia il gioco di squadra fra le istituzioni culturali. Questo può avvenire se il sindaco si mette al servizio della città, partendo dall’ascolto degli altri.
 

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Ferrari

September 30, 2015 By admin

Senza venire meno alla sua vocazione cittadina, La Fabbrichetta si presenta all’appuntamento elettorale europeo cercando di cogliere l’occasione per portare alla luce e fare esprimere non solo le realtà di bandiera, ma le persone, perché la regola proporzionale con le tre preferenze porterà l’elettorato ad esprimersi sui candidati all’interno degli schieramenti.
Da parte di chi vota c’è poca conoscenza dei parlamentari europei; in generale c’è una percezione della politica europea, come una complessa realtà burocratica, e anche per chi segue con attenzione la politica, è difficile avere una visione complessiva della politica europea. Di qui la prima domanda che ci sentiamo di porre a Francesco Ferrari, deputato europeo uscente del PD dopo una vita passata nella Coldiretti e nel Parlamento italiano, è: il singolo parlamentare in Europa può fare qualcosa oppure anche lì è difficile contare qualcosa ?
E subito dopo la seconda domanda, inevitabile visto il precedente ruolo nazionale rivestito dal nostro ospite: in Europa è ancora centrale la questione dell’agricoltura ?

L’organizzazione dell’Europa politica ha tre livelli: il consiglio, la commissione ed il parlamento. I ruoli e l’importanza di questi livelli cambia radicalmente con l’attuazione dell’accordo di Lisbona, per cui si dice normalmente che siamo nella fase del passaggio dall’Europa delle Nazioni all’Europa dei cittadini. Certo visto dall’Italia ed in particolare guardando all’azione del nostro governo e del Ministro per l’Europa Ronchi, siamo lontanissimi da questa trasformazione, di cui vengono respinti i 10 punti fondamentali. Un fatto è certo, parlando di questi tre livelli: la commissione, l’esecutivo europeo, produce moltissimo, poi tocca al parlamento decidere, prima con il lavoro in commissione sui progetti di direttiva e di regolamento, poi in aula. In commissione il lavoro del singolo deputato è determinante, anzi tutto per il meccanismo dei relatori: in commissione ogni gruppo ha un relatore “ombra”, che interagisce con il relatore principale di ogni disegno di legge. Questo dà un’opportunità straordinaria di incidere sul processo legislativo, anche più di quanto accada nel parlamento nazionale, almeno in Italia. Rispetto all’esperienza nazionale completamente diverso è il ruolo delle lobby, che agiscono alla luce del sole in difesa degli interessi delle categorie produttive e professionali, entrando in modo costruttivo nel processo decisionale. La trasparenza diventa determinante perché il loro lavoro sia un contributo positivo e non puro corporativismo. Per fare un esempio pratico, derivante dalla mia esperienza personale, nell’iter legislativo del progetto di legge sulla protezione dei pedoni e dei ciclisti, le case automobilistiche si sono mosse tutte, anche se con diverse posizioni: le case tedesche, che hanno standard di mercato meno rigidi e quindi meno protettivi per i consumatori, hanno cercato di porre freni, mentre costruttori italiani e francesi che hanno già standard di progetto e di prodotto che recepiscono le norme più avanzate per la protezione dei pedoni, hanno collaborato con la commissione parlamentare nel definire le norme europee. Poi alla fine c’è stato un compromesso politico, che si è concretizzato nell’allungare i tempi per l’entrata in vigore definitivo dei disciplinari normativi di produzione, il che consente a italiani e francesi di manetener eil loro vantaggio competitivo, senza mettere fuori mercato i tedeschi. Il vero vantaggio di tutto questo sarà però per i cittadini, perché è stato calcolato da uno studio neutrale universitario, che le nuove norme porteranno ad una diminuzione del 35% della mortalità negli incidenti stradali che coinvolgono pedoni e ciclisti.
Perché tutto questo si realizzi condizione necessaria è però la presenza costante dei deputati alle sedute della commissione e dell’aula, per poter opportunamente valutare i pareri delle varie lobby, e poi per realizzare quei compromessi che sono l’essenza di ogni sintesi politica. Con l’entrata in vigore delgi accordi di Lisbona poi, la commissione europea dovrà coinvolgere in maniera crescente il parlamento. Sarà necessaria coesione a livello di politica estera ed economia per realizzare concretamente la libertà di movimento dei cittadini entro norme comuni in tutta Europa.
Per quanto riguarda l’agricoltura, storicamente si tratta di uno dei settori chiave dell’integrazione comunitaria, anche se oggi la percentuale più importante dei finanziamenti comunitari effettivamente erogati all’Italia si è spostata verso altri settori, come quello di trasporti e comunicazioni. Questo deriva non solo dalla crescente importanza di questi altri settori, ma anche dalla presenza più costante dei deputati italiani nelle commissioni: in Commissione trasporti Paolo Costa ed il sottoscritto hanno lavorato di conserva con tutti i governi per la realizzazione dei corridoi di comunicazione, mentre nello stesso periodo i finanziamenti al’agricoltura italiana sono calati dal 60 al 38% del finanziato complessivo. Con questo si è comunque arrivati, grazie ad una positiva interazione con le Regioni, a destinare direttamente importanti contributi alle politiche infrastrutturali, alle politiche agricole ed al sostegno all’occupazione, e solo per fare un esempio solo per la Lombardia sono stati recentemente stanziati per queste voci 600 milioni di euro da qui al 2013.
Questi risultati sono diretta conseguenza anche di quanto si diceva a proposito dell’importanza del lavoro del singolo deputato, in quanto ogni membro del parlamento europeo partecipa ai lavori di due commissioni, in una come titolare, nell’altra come supplente. In questo modo un deputato che sia sempre presente in ambedue le funzioni, ha una capacità di condizionamento importante, perché può riuscire a fare mediazioni con le altre forze politiche giocando su più tavoli.
Lavorando in questo modo è stato possibile ottenere il risultato di cui si diceva per la normativa sulla protezione dei pedoni, ed a sostenere i finanziamenti all’agricoltura italiana, che poi non avrà tutto il risultato ottenuto a causa della scelta del Ministro Zaia di utilizzare ad esempio in un’unica soluzione il finanziamento triennale per le quote latte, per ottenere risultati immediati, che però saranno deludenti nel medio termine.
Parlando poi di agricoltura la grande opportunità che l’Europa offre alla produzione italiana è la difesa dei prodotti di qualità: su produzioni come quella del parmigiano, il sostegno dei prezzi a livello europeo è determinante per supportare la politica di difesa della qualità della produzione nazionale contro i surrogati. Per realizzare questa protezione è però necessaria una presenza costante che eviti i colpi di mano dei sostenitori delle produzioni di massa a scarsa qualità, esattamente come abbiamo fatto nel 2008, quando con un colpo di mano a fine legislatura, con la commissione del senato concentrata sulla campagna elettorale, siamo riusciti a ottenere la proroga del decreto del 2001 su qualità, prodotti tipici ed etichettatura.
In definitiva il parlamentare europeo deve con una presenza costante, riuscire a fare conciliare gli interessi del consumatore europeo con quelli della produzione nazionale.
DOMANDE E RISPOSTE

1) Come interagiscono norme europee e norme nazionali ?

A livello italiano la produzione normativa è ormai quasi per 80% attuativa di normativa europea. Se si prende ad esempio un settore come la zootecnia in Italia la normativa è di competenza regionale: quando a livello comunitario è stata fatta una normativa sull’uso dei nitrati negli allevamenti, in Italia ci sono state 20 diverse applicazioni a livello regionale della normativa comunitaria. Questo ha finito con l’aumentare il distacco delle regioni avanzate in questo settore, come la Lombardia che è una delle quattro regioni chiave, un vero motore a livello europeo, rispetto ad altre regioni italiane. Questo avviene anche in altri paesi , basti pensare alla Spagna dove la Catalogna ha la stessa funzione della Lombardia, ma per l’Italia poi pesa anche una certa divisione della rappresentanza parlamentare, che a livello europeo resta fortemente divisa.

2) Posto che la reputazione europea dell’Italia è vicina allo zero, ci sono vere prospettive di sviluppo dell’unione europea, oppure tutto resterà delimitato entro schemi che finiscono per penalizzare la specifica situazione italiana ?

Personalmente sono fiducioso, ma è necessario fare un lavoro di sintesi. Torniamo agli esempi concreti: quando nel passato abbiamo permesso ai francesi di zuccherare il vino, abbiamo rinunciato a difendere i nostri interessi, visto che da noi quelle operazioni non erano necessarie. Sarebbe bastato imporre l’indicazione del tipo di utilizzo degli zuccheri sulle etichette dei prodotti, per difendere la nostra produzione di qualità che avrebbe potuto confrontarsi con la produzione di qualità francese, eche invece deve difendersi dalla concorrenza di bassa qualità. In generale ci siamo accontentati di contropartite sul breve periodo, perdendo però tutte le battaglie strategiche. Altrettanto per le politiche sulle carni suine e sui frantoi.
E poi abbiamo del tutto rinunciato alle politiche di controllo dei prezzi: sui mercati esteri la nostra produzione di qualità viene strapagata a tutto vantaggio degli importatori. Basta controllare il livello dei prezzi del parmigiano nelle nostre città e nelle principali capitali europee.
Il nostro governo è stato assente in tutte queste battaglie, confermando il detto bresciano secondo cui “a andà se lecca, e a stà se secca”.

3) Da tutto questo esce anche un quadro desolante dell’informazione sulla politica europea: di tutto questo in Italia non si parla.

Giornali e TV parlano poco di Europa. I nostri ministri, Ronchi in testa, sono isolazionisti e in generale euro-scettici, e quindi abbiamo poi politiche italiane come quella di boicottare i 10 punti di Lisbona, l’uso parziale dei finanziamenti, i supporti privi di controllo al sistema bancario e finanziario a scapito del sistema produttivo. Al venir meno della protezione statale non corrisponde una maggiore protezione europea.

4) Come si vede da Strasburgo la questione dell’adesione della Turchia alla UE ?

Secondo me l’Europa arriverà a 40: quando riusciranno a dare adeguate garanzie su diritti umani, libertà civili e regole di reciprocità, anche Russia e Turchia entreranno. Certo sarà un processo lungo, ma la direzione è quella, anche perché a livello strategico, dopo che è venuto meno il bipolarismo militare fra USA e Russia, l’Europa ha un ruolo solo se unita.
Oltre che lungo non può che essere un processo progressivo: il completo recepimento degli accordi di Lisbona sarà determinante, e poi conterà la flessibilità con i nuovi membri. Un esempio c’è stato recentemente con le misure anti crisi a favore delle nazioni più deboli dell’Est europeo. Che ci devono fare ricordare che anche l’Italia in tempi non così lontani ha tirato la cinghia per rispettare i criteri comunitari.

5) Come si concilia la responsabilità planetaria dell’Europa unita, con il rapporto demografico sbilanciato rispetto al terzo mondo ?

Anche questa questione va inquadrata in una prospettiva storica di lungo periodo, guardando al passato per capire il presente ed orientare il futuro. L’Europa come la conosciamo oggi, nasce dalla Comunità del carbone e dell’acciaio. Dove sono oggi il carbone e l’acciaio: esiste un monopolio, ma con un sistema di regole che sono la conseguenza diretta dell’esperienza comunitaria. L’esistenza delle strutture comunitarie ha permesso di controllare l’evoluzione di un settore una volta determinante, oggi solo importante, evitando che diventasse un sistema a scapito dei cittadini.
Altrettanto dobbiamo fare per guardare in prospettiva futura. Pensiamo ad esempio alla cruciale questione degli organismo geneticamente modificati: la scienza non dà certezze oggi, forse le darà fra vent’anni sulle conseguenze dell’uso di questi prodotti in agricoltura. Il ruolo dell’Europa è di governare questa evoluzione con regole che garantiscano risultati vantaggiosi per i cittadini ed un quadro di mercato controllato, senza distorsioni.
In questo modo l’Europa può proporsi anche riferimento a livello planetario.

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Un Sindaco amico delle bambine e dei bambini, dei ragazzi e delle ragazze

September 30, 2015 By admin

Progetto di politica partecipata dell’associazionismo educativo milanese
 
Un nuovo soggetto deve imporsi per costruire una città migliore. Il nuovo soggetto è costituito dai bambini e dai ragazzi.
Per questo riteniamo davvero importante e anzi necessario sviluppare un programma per Milano fondato sui bambini e sui ragazzi.
Solamente in questo modo si può investire sul futuro delle nostre città e sulla qualità del nostro vivere civile.
Otto proposte che muovono dai loro sogni, esigenze, richieste, necessità e diritti.
Otto proposte che sono i fondamenti del progetto di politica partecipata; quella che vuole Milano amica dei cittadini più giovani.
 
 La città amica dei bambini e dei ragazzi
 
1.1 Un metodo di governo partecipato e condiviso
I Consigli di zona devono diventare punti di ascolto dei bambini e dei ragazzi.
Istituzione del Consiglio Comunale dei ragazzi.
 
1.2 Una città dove muoversi e respirare
La mobilità sostenibile: costruire percorsi sicuri casa-scuola e piste ciclabili.
Possibilità di andare gratis a scuola con i mezzi pubblici.
Aumento degli spazi per giocare. Esercitare il diritto al gioco
 
1.3 Un nuovo slancio educativo e culturale
Sostegno della didattica e recupero delle progettualità innovative
 Maggiori fondi e spazi per il tempo libero e per lo sport
 
1.4 Le politiche di accoglienza
Iniziative per favorire la multiculturalità.
Integrazione dei bambini e dei ragazzi in situazioni di difficoltà e disagio.
 
1.5 Una sanità per tutti
Una medicina scolastica qualificata.
Sviluppare attività di prevenzione e di promozione del benessere.
Maggiore sensibilizzazione sulla educazione alimentare.
 
1.6 Il sostegno alla genitorialità
Sostegno per l’accesso alla casa e per l’inserimento lavorativo
Più qualità e quantità dei servizi per l’infanzia
Sviluppare e rilanciare iniziative e spazi per “il tempo per le  famiglie”
 
1.7 Un consumo consapevole
Programmi educativi per una maggior responsabilità nel consumo
Tutela del bambino consumatore.
 
1.8 Più verde e meno cemento
Un piano per l’edilizia e
una riqualificazione urbana e dei quartieri a dimensione dei bambini.
Valorizzazione dei quartieri come luoghi di identità.
Un bosco intorno alla città
Dal mese di giugno – in vari  incontri tra le associazioni e le agenzie di Milano e della Lombardia che, a diverso titolo, si occupano di attività educative e di politiche per e con i bambini e gli adolescenti – abbiamo voluto intraprendere un percorso sfociato in un progetto programmatico, per una città amica dei bambini e dei ragazzi. Tale processo rende partecipi  anche i cittadini più giovani, attraverso una indagine qualitativa e numerosi  focus group. Un ascolto attivo che li riconosce come  protagonisti e costruttori delle nuove città.
 
Crediamo in questo modo di poter fornire un contributo importante. Crediamo, inoltre, di suggerire così facendo una differente e innovativa visione riguardo a come progettare lo sviluppo metropolitano.  Il tentativo è quello di mutare la pelle della nostra città, per trovare finalmente una Milano che risponda ai bisogni delle persone che ci vivono.
  
Hanno partecipato e aderiscono:
 
Agesci Milano
Arci Milano
Arciragazzi
Ass. Amici del Parco Trotter
Coop. Sociale ABCittà
Celim Milano
Confcoperative Milano
LegaCoopSociali
Fondazione Roberto Franceschi
Legambiente
Movi Lombardia
Piccola Scuola di Circo
Rete Scuole
Tempo per le Famiglie
Unicef Comitato provinciale di Milano
 
 
Altri documenti per il programma “Un Sindaco amico dei bambini e dei ragazzi”:
 
1. “Bambini e ragazzi oggi a Milano. Per un patto educativo con le nuove generazioni”, Forum provinciale del Terzo  Settore di Milano, 2004
2. “Costruire città amiche delle bambine e dei bambini. Nove passi per l’azione”, Unicef Italia, 2005
3. Sintesi degli incontri del tavolo
   Per contatti e informazioni ci si può rivolgere alle associazioni che hanno aderito oppure a info@arciragazzimilano.it
 

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C’E’ QUALCOSA DI NUOVO NELL’ARIA L’inquinamento a Milano

September 30, 2015 By admin

Ennio Rota
Vice Presidente Legambiente Lombardia

La Fabbrichetta ha cercato nei suoi percorsi di analisi della realtà milanese, di evitare i luoghi comuni e gli argomenti troppo evidenti e dibattuti. Ma non è possibile esimersi da una valutazione dell’inquinamento dell’aria che respiriamo. Lo facciamo con un osservatore privilegiato, Ennio Rota, medico, dirigente della Regione Lombardia e vice presidente di Legambiente.
Partiamo dall’oggi: perché un’aria così brutta e perché in gennaio ? E’ ovvia l’osservazione che con il freddo tipico di questa stagione aumenta il ricorso al riscaldamento, e persino le auto sono meno efficienti, come chiunque può constatare controllando i propri consumi, e quindi consumano di più. La situazione meteorologica ha fattori anche più sottili: fa più freddo al livello del mare, mentre in quota la temperatura è più alta. Basta una differenza di 1° sopra le nostre teste per rendere difficile il ricambio dell’aria, e quando la quota di inversione termica è più bassa l’aria fredda resta schiacciata anche dall’aumento della pressione dell’aria, gli inquinanti sono più stabili e l’inquinamento la fa da padrone. I venti dell’est arrivano meno in questa stagione, e anche le perturbazioni sono limitate così niente libera l’aria.
La rete di monitoraggio esistente permette di dire che tutti gli inquinanti controllati sono statisticamente in discesa, eccetto l’ozono, che rappresenta un problema prettamente estivo, in quanto scatenato dal sole.
I dati lombardi sono analoghi a quelli del resto della pianura padana, dove in termini di media mensile dei dati rilevati in gennaio storicamente, la concentrazione dell’ossido di carbonio si è ridotta così come si è ridotta, anche se in modo meno sensibile, quella dell’ossido di azoto. Il biossido di zolfo (prodotto da gasolio e carbone) dalla seconda metà degli anni ’50, quando ancora era prevalente l’uso del carbone per il riscaldamento domestico, è diminuito del 1.100%, e tuttavia è ancora una componente dell’inquinamento attuale.
Le polveri sono diminuite in generale, ma va considerato che il PM10 è monitorato solo dal 1997, e sappiamo che questo rappresenta 80% delle polveri totali. E’ in calo il benzene che dal 1994 ad oggi si è ridotto di quasi il 400%.
La ragione di questa situazioni non ha una spiegazione unica, ma deriva da diversi fattori: la metanizzazione ha ridotto drasticamente l’uso di carbone, esattamente come a Londra si eliminò lo “smog” all’inizio degli anni ’50 dopo la proibizione dell’uso del carbone.
In termini statistici è ormai assodato che ad un picco di inquinamento corrisponde un picco di ricoveri ospedalieri ed un correlato aumento del tasso di mortalità.
C’è una corrispondenza sicura fra il traffico, specialmente pesante, e picchi di IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici) . I veicoli diesel sembrano i maggiori responsabili dell’inquinamento da traffico, ma in realtà il PM10 trova origine da diverse fonti. Le emissioni primarie di PM10 sono quelle più evidenti, ma visto che primarie sono quelle prodotte direttamente dalla combustione e che possono essere bloccate dai filtri, mentre hanno importanza anche quelle secondarie, ovvero date dai gas di scarico. Ora più è alta la concentrazione di PM10, più è importante la quota di emissioni secondarie. Per questo il blocco temporaneo del traffico colpisce direttamente il primario che in un giorno si riduce anche del 30%, ma influisce solo in tempi più lungi sulle emissioni secondarie. In questo senso il blocco non ha ovviamente un effetto risolutivo, ma costituisce un contributo rilevante alla riduzione degli effetti dell’inquinamento. Le fonti di PM10 primario per importanza di quota vengono stimate dalle Agenzie Regionali per l’ambiente secondo INEMAR, la speciale struttura che in base al bollettino petrolifero che rileva con certezza i consumi di benzina, consente di calcolare con modelli matematici i fattori di emissione:
a) primario: diesel 32%; legna 32%; altre fonti 20%
b) secondario: 50% traffico
Non deve stupire il dato relativo alla legna, che se quasi scomparsa dalle grandi aree urbane come combustibile da riscaldamento, ha trovato nuovamente largo uso nelle zone montane e pre alpine grazie alla diffusione delle stufe ad alto rendimento.
Il traffico resta un elemento decisivo, su cui molto si sta facendo con il miglioramento delle tecnologie, basti pensare alla progressiva del fattore di emissione per km percorso, che per un’auto “euro 4” è ridotta a 0,8 per km, mentre per un motore diesel tradizionale arriva a 30 per km, in termini di PM10 ma anche di biossido di azoto.
Purtroppo l’incremento delle immatricolazioni di vetture diesel ha compensato in negativo i miglioramenti raggiunti sui motori a benzina. Di qui la polemica sulla richiesta di introduzione del filtro anti particolato, sul quale è in corso un vero braccio di ferro fra costruttori e governo, con i primi che sono disposti all’introduzione, ma a patto di significativi contributi governativi per l’adeguamento degli impianti produttivi. Si tratta peraltro di un elemento importante ma non conclusivo, se si considera che i filtri abbattono il PM10 ma non IPA e tutti gli altri inquinanti.
Va detto che la riduzione di polveri da traffico non è possibile al 100%, ma va ridotta tendenzialmente, considerando che se è vero che l’indice di produzione di polveri per tipo di veicolo è quella che segue (in mg per km percorso):
– euro 0 sotto 3,5 ton 198
– euro 0 gasolio sopra 3,5 ton 571
– auto euro 4 benzina 0,8
– mezzo ATM con retro fit 150
– motociclo 4 tempi euro 1 15
il puro attrito produce 0,8 mg per km di polveri, e in qualche misura questo è ineliminabile, visto che avviene anche per una bicicletta.
Preoccupa poi la considerazione che una quota del PM10 secondario sia composta da ammoniaca, il che si spiega probabilmente con la presenza di tale elemento in agricoltura nei fertilizzanti usati nelle campagne. Si tratta quindi di un fattore sul quale risulta particolarmente difficile impegnativo intervenire, vista la lunghezza della catena che lo produce. La conseguenza è che solo in Lombardia, rispetto a Milano ed al suo traffico che hanno 116 come indice di PM10, Lodi ha indice 133, e Cremona 113.
La Lombardia presenta quindi una situazione complessa e sfavorevole, con condizioni meteo sfavorevoli, al pari delle regioni più colpite d’Euorpa come la Ruhr in Germania, per motivi simili ai nostri. Esistono però anche situazioni come quella del Belgio, la cui alta concentrazione di PM10 viene attribuita con certezza per la presenza di un alto livello di cadmio, a polveri portate dai venti dell’est, in particolare dalla Polonia. Altrettanto dicasi per la concentrazione registrata in Spagna di polveri provenienti dal Sahara. Purtroppo il PM10 delle nostre regioni è tutto nostro, e per questo in sede comunitaria saremo sanzionati, con circa 500 milioni annui di mancati trasferimenti da UE, per il supermento permanente dei livelli ammessi di concentrazione di PM10.
Ci sono strumenti per fare interventi strategici, che però possono essere solo il frutto di scelte politiche coraggiose: la decisione di questi giorni a livello di governo nazionale di bruciare olio combustibile per compensare il molto reclamizzato mancato apporto del gas russo, ci riporta indietro di vent’anni. Questa decisione non è giustificata dalla situazione attuale, alla fine di un pur rigido inverno, ma è direttamente funzionale alla difesa di interessi petroliferi ed automobilistici.
Altrettanto strategica e frutto di mancanza di coraggio politico, è la scelta di continuare a puntare sulle autostrade per lo sviluppo della mobilità, invece di progettare nuove e più efficienti linee ferroviarie, come è il caso dei due progetti lombardi di cui si parla da anni.
Concludendo:
– c’è un trend positivo nel lungo periodo, ma con singoli picchi negativi stagionali
– la colpa è del sistema nel suo complesso, con responsabilità diffuse ad ogni livello istituzionale e decisionale
– serve una maggiore organicità degli interventi perchè c’è un livello di complessità ed interdipendenza tale che ogni azione va coordinata e graduata con attenzione
– serve una svolta nella produzione di energia: turbogas, eolico, solare, fotovoltaico, sono tutte realtà che permettono importanti risparmi, ma ad oggi sotto utilizzate, anche perché pur in presenza di importanti risparmi di sistema, gli incentivi (ad esempio 300 megawatt di credito nel conto energico per l’uso di queste formule) sono ancora più limitati delle risorse naturali disponibili; l’ultimo esempio è dato dalla Finanziaria che ha eliminato la possibilità di dare contributi a privati in materia di risparmio energetico, tagliando tutto lo sviluppo possibile all’utilizzo di energie alternative in ambito privato

Si deve insistere nell’adozione di piccoli ma costanti e precisi interventi tesi ad ottenere risultati a lunga scadenza, anche se si deve dare per scontato che gli effetti non saranno lineari, perché ad ogni azione spesso corrisponde una reazione inattesa, non ostante il perfezionamento dei metodi matematici utilizzati.

Il saldo di chiusura dei centri urbani al traffico è solo parzialmente positivo, perché pur con qualche risultato al centro, la congestione nelle aree periferiche compensa in negativo. L’effetto più importante anche se minimo e di lunghissimo periodo, sta nella scoperta dell’uso dei mezzi pubblici o comunque di mezzi alternativi all’auto, il cui uso si riduce a lungo termine.

L’uso del bio diesel ha un senso limitato e non un impatto di sistema , visto il suo impatto ridotto per la possibilità di produzione limitata per legge, e perché il ciclo industriale di tale combustibile ha un costo analogo a quello del diesel tradizionale, ma risulta favorito dagli sgravi fiscali. L’adozione da parte dei mezzi dell’Azienda Tranviaria si è accompagnata all’adozione dei filtri anti particolato sui mezzi, ma purtroppo l’esempio non è stato seguito dalle altre amministrazioni pubbliche che incidono sul nostro territorio.

Il problema dell’inquinamento da traffico sta anche nei fattori esterni, per i quali esistono molti tentativi di analisi.
A livello di sistema la fine del modello della fabbrica fordista, e l’adozione del sistema Toyota del “just in time”, ha fatto sì che nell’odierno sistema produttivo l’industria non produca più per il magazzino, ma per la consegna immediata. Grazie al contemporaneo sviluppo dei sistemi di gestione dell’informazione, che hanno fatto nascere la logistica come sistema di gestione e controllo del movimento merci, questo si è tradotto in un enorme aumento di traffico di piccoli veicoli commerciali, spesso diesel, per le consegne rapide.

A livello strettamente politico, leggendo il primo documento del candidato sindaco del centro – destra, non può non risaltare il fatto che i primi 10 “progetti” siano di tema, ambito e persino linguaggio ambientalista. Forse c’è un pericolo di confusione delle identità su questi temi, ma è certo che senza una politica di scelte radicali e coraggiose, la sinistra non sarà più riconoscibile come tale neanche sulle tematiche ambientaliste, sulle quali riesce a sembrare più radicale ed innovatrice l’amministrazione Formigoni.

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