Incontro con il prof. Alessandro Balducci,
Direttore del Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Politecnico di Milano.
Se quella della Fabbrichetta è almeno in parte la scommessa generazionale sulla possibilità di ritrovare una sintesi tra competenza tecnica e passione politica che ha costituito per esempio la forza di quel “socialismo municipale” milanese di inizio secolo che così tanto ha caratterizzato le istituzioni locali, Alessandro Balducci è tra i più qualificati ad intervenire. Non solo per il suo brillante percorso professionale, ma per la lunga e coerente attività pubblica, dagli esordi con la tesi di laurea sui primi passi di Berlusconi (pubblicata dalle Acli “Dal Parco Sud al cemento armato”), alla sua esperienza come giovanissimo consigliere comunale di San Donato, alla sua presenza nei momenti di forte partecipazione alle scelte urbanistiche in diverse aree cittadine.
In effetti senza risalire toppo indietro nel tempo, alcune recenti esperienze alimentano la mia relazione:
– la redazione del Libro Bianco sulla casa per il Prefetto di Milano
– lo studio di fattibilità per il Fondo Sociale Immobiliare della Cariplo
– il Progetto per il Villaggio Urbano alla Barona
– i Contratti di Quartiere per il Comune di Milano
– il progetto Città Sane
Il problema della casa ha tali caratteri di drammaticità da rivestire un ruolo centrale nella vita cittadina, ma è praticamente scomparso dalle agende politiche. In parte per la scomparsa dei partiti stessi, ma anche per il mutamento cittadino che ha realizzato di fatto l’espulsione dalle città delle categorie che esprimevano tradizionalmente il bisogno della casa.
Per verificare questo mutamento è sufficiente confrontare una fotografia aerea di Milano oggi con quella di trent’anni fa, e verificare come dall’esistenza evidente di una città costituita da centro e periferia, si è passati a quella nebulosa di cui già ci ha parlato Stefano Boeri in un suo precedente intervento. In questo passaggio si è verificato lo spostamento non solo da Milano, ma dalla Provincia di Milano, a vantaggio di Bergamo, Lodi, Lecco, tutte Province limitrofe, che hanno aumenti di popolazione nell’ordine del 10 % negli ultimi vent’anni. Questo il motivo quantitativo per cui il problema della casa non si concretizza a Milano in una domanda politica significativa.
Ma c’è anche un aspetto qualitativo, perché la domanda si è fatta più articolata, inglobando accanto all’evoluzione delle forme tradizionali della domanda abitativa, anche forme nuove di disagio.
Anzitutto si registra un fenomeno di rischio, una vulnerabilità nuova che colpisce fasce ampie del ceto medio, che per evitare nuove forme di strozzamento economico, devono assolutamente farsi ascoltare dalla città. Ci sono poi, con una grande varietà di casistica, forme di disagio rispetto all’accesso all’alloggio e vere e proprie forme di esclusione per i casi più marcati e duri, come quelli degli immigrati, delle tossicodipendenze.
Di fatto i numeri dicono che in pochi anni a Milano si è passati dal 50% delle case in affitto a solo il 20% , che si compone di un 5% di forme di affitto dalla mano pubblica, che si trasformano per la loro durata e resistenza in forme di quasi proprietà, e di un 15% che si ricicla sul mercato, ma solo per una fascia particolare, caratterizzata dall’ampia disponibilità di spesa e dal prezzo altissimo.
A fronte di questo cambiamento epocale, la totale disattenzione della politica cittadina, che nei tre bandi dal 1997 ha ricevuto 17.000 domande nel 1997, 12.000 nel 1999, ed ancora nel 2003 di fronte a 9.000 sfratti per morosità e 2.000 per finita locazione, ha offerto 495 nuovi alloggi comunali di edilizia sociale e 1.300 assegnazioni di case popolari. Le assegnazioni finiscono per testimoniare lo stato di difficoltà, perché le poche case che si liberano finiscono per essere assegnate alle persone che sono portatrici di gravi situazioni di disagio, quali la presenza di malati lungo degenti o portatori di handicap
Il patrimonio complessivo ammonta a 42.000 alloggi ALER e 20.000 del Comune di Milano, all’interno dei quali la popolazione ha un invecchiamento anche superiore alla già alta media cittadina, cui si aggiungono i problemi dati dall’abusivismo, nell’impossibilità per l’ALER di fare controlli. I motivi stanno in una scarsa efficienza storica dell’ente, visto che altre realtà analoghe in Lombardia, per tutte Brescia, funzionano relativamente bene.
Il cambiamento della città che si accompagna non è governato con gli strumenti esistenti, quali il Piano Regionale per l’Edilizia Pubblica o il Piano di riutilizzo dei Fondi Gescal, che risale al Ministro Nesi alla fine degli anni novanta. Infatti se con questi strumenti si sono potuti attivare alcuni fenomeni virtuosi, come alcuni bandi, i contratti di quartiere, è certo che la situazione complessivamente presenta troppe lacune. Ad esempio solo il piano Lombardo prevede un fabbisogno di 60.000 case, per le quali gli unici interventi sono dei programmi di facilitazione dell’accesso al mutuo.
In definitiva la rilocalizzazione della popolazione trasferisce costi enormi, senza dare benefici corrispondenti. Infatti il differenziale fra prezzo pagato per l’abitazione fuori città finisce per essere largamente compensato dai costi evidenti (trasporto) e da costi occulti, primi fra i quali il tempo e la qualità della vita. Si è creato un modello dissipativo di risorse, difficilmente controllabile. Certo non si può dire che si tratti di un fenomeno che non abbia alcuni aspetti positivi, soprattutto in prospettiva, ma al momento prevalgono le criticità.
A fianco della trasformazione del problema della casa, sta la trasformazione del vivere la città, in particolare in relazione ai quartieri cittadini.
Secondo alcune ricerche di Ilvo Diamanti sulla sicurezza, nell’attesa di sicurezza da parte delle popolazioni del nord Italia, cresce la parte riservata alle relazioni di tipo individualistico (famiglia – lavoro) a scapito dell’attesa di risposte provenienti dalle relazioni sociali ed istituzionali.
Ne sono esempi evidenti le situazioni che si creano in molti quartieri dell’area metropolitana di Milano. Uno per tutti un quartiere urbanisticamente bello e ricco di verde pubblico come il Sant’Amborgio a Milano, che vede una forte difficoltà nella vita di tutti i giorni, fra una popolazione invecchiata e la difficoltà dei giovani e giovanissimi di vivere normalmente in situazioni di degrado sociale e di insicurezza.
Milano è stato sempre storicamente una città di quartieri, che davano un senso di identificazione molto forte, accompagnando realmente tutta la vita dei cittadini. Oggi nei quartieri si sono anzitutto svuotati quei meccanismi intergenerazionali a cui si dovevano molti fenomeni di appartenenza. Anzitutto nei quartieri la mobilità è molto bassa, sino ad assistere a fenomeni di invecchiamento collettivo di interi quartieri che si erano popolati inizialmente di famiglie estremamente omogenee. Si è quindi assistito alla trasformazione dei circoli scolastici in comprensori, alla riduzione del numero dei Consigli di Zona e delle sedi ASL, e così la ridotta capacità economica della macchina comunale ha allontanato ed in molti casi del tutto eliminato la presenza ed il supporto del settore pubblico.
La crisi del modello del quartiere è diventata quasi irreversibile per questi fenomeni di eliminazione dei servizi di prossimità, proprio mentre invece si è data grande eco ad aspetti repressivi della risposta al bisogno di sicurezza, quali il vigile di quartiere e la polizia di quartiere.
Come per la casa, anche per i quartieri è importante distinguere le aree di intervento: per la casa il rilancio dell’affitto per dare nuova sicurezza ed aspettativa di vita migliore, e riduzione del disagio sociale, per il quartiere la valorizzazione di aspetti apparentemente esteriori diventa valorizzazione della vita civile e recupero di spazi di vivibilità altrimenti non riconquistabili. E’ essenziale non continuare a ripetere gli errori del passato, come si è fatto ancora una volta al quartiere Sant’Ambrogio, dove gli spazi commerciali sono stati vandalizzati e ripristinati più volte, ma senza mai pensare un intervento che li mettesse al riparo dai vandali rendendoli vivi e funzionanti. Avrebbe sempre senso un piano di recupero ed inserimento di dimensioni poli funzionali, non come fatto a Ponte Lambro nel progetto di Renzo Piano.
Per chi osserva anche la realtà internazionale è evidente che una delle nostre particolarità sta ad esempio nell’incapacità di mettere d’accordo diverse istanze istituzionali e nella perdita da parte della politica della capacità di mediare fra interessi e bisogni. Un esempio concreto: a Madrid ad Atocha la municipalità ha realizzato un nuovo polo dei trasporti eliminando le orrende e intasate sopraelevate, ed integrando nella nuova sistemazione anche un polo di edilizia residenziale ed il Museo Reina Sofia. A Milano in questo momento, nella nuova area della Fiera a Rho, assistiamo alla realizzazione di due stazioni dell’Alta velocità e della Metropolitana, distinte e lontane fra loro oltre 1 km. La politica dovrebbe recuperare la capacità di coordinamento degli interventi, che sono sempre più monolaterali, nel senso che hanno un solo protagonista, proprio per la sopravvenuta impossibilità di trovare accordi fra diversi interessi. In questo modo si perdono gradi opportunità.
Un esempio di uso mirato delle risorse è dato dai contratti di quartiere, un istituto che per chi lo ha voluto e vissuto è rapidamente passato dalla fase iniziale delle minacce a quella del giubilo popolare per le realizzazioni, come nel caso di Cinisello Balsamo.
I contratti di quartiere a Milano si sono concretizzati in un finanziamento di 220 milioni di € sui cinque quartieri a proprietà pubblica, con il fine di evitare che una volta finanziato l’intervento, il Comune ne abbandoni il controllo in senso sociale e non strettamente contabile.
Per fare questo si sono programmati interventi articolati di:
– inserimento di attività economiche
– rifacimento di alcune tipologie di appartamenti ormai obsolete
– inserimento di progetti sociali
– riqualificazione del verde
– partecipazione dei cittadini alle scelte ed alle realizzazioni
Questa tiplogia di intervento nasce dai programmi Urban della UE, che partono dal presupposto che senza dare agli abitanti un senso di appartenenza, non si riesce a cambiare lo stato di degrado delle città. La dimensione contrattuale per il coinvolgimento degli abitanti sarebbe un requisito necessario nei bandi di concorso.
Un comitato di sorveglianza coordina gli interventi ed arriva anche a gestirne la realizzazione. Gli interventi possono essere i più diversi, ed andare dalla trasformazione di spazi pubblici inutilizzati in spazi di servizio, all’affidamento a cooperative di giovani dei servizi di trasloco interni al quartiere.
Il risultato viene raggiunto nella totale assenza della macchina comunale tradizionale, che non è minimamente coinvolta. Ad esempio a Milano benché quattro dei cinque quartieri interessati siano all’interno di una sola zona, il Consiglio di zona non solo non ha alcun ruolo nel contratto, ma non se ne è nemmeno interessato.
Se si cercasse una risposta in termini politici, c’è invece una connessione fra problemi della casa e problemi dei quartieri, perché costruendo una politica vera della casa si potrebbero affrontare anche i disagi dei quartieri. E vero che quella della casa non è una questione solo di livello cittadino, ma è anche vero che non ripetendo gli errori del passato (PRU) una migliore selezione degli interventi può consentire un utilizzo migliore delle risorse disponibili.
A dimostrazione e conclusione l’esempio del Fondo Sociale Immobiliare Cariplo, che pur restando nei limiti statutari delle proprie obbligazioni istituzionali, ha sostenuto progetti di edilizia sociale, garantendosi la possibilità di finanziare al 4% il capitale investito (al netto del costo dell’area). Posto che nel passato c’erano costruttori di nicchia capaci di ritagliarsi un ruolo ed una remunerazione proprio nella costruzione di edilizia sociale, questo dimostra che anche oggi è possibile operare in questa fascia con interventi che senza essere speculativi, siano economicamente sostenibili.
Il costo sociale della delocalizzazione in provincia potrebbe essere maggiormente evidenziato, per sottolineare i problemi ed i disagi sociali che questa comporta.
Assistiamo nel campo del valore delle aree edificabili e già edificate, ad un rafforzamento della rendita di posizione per chi possiede aree cittadine, o ne ha fatto scambi con aree semi centrali, ottenendo in cambio vantaggi urbanistici. La rendita su questo tipo di area ha assunto dimensioni oggi imponenti., che erano inimmaginabili sino a pochi anni fa.
Rispetto all’eccesso di terziario e davanti ai vecchi interventi degli anni ’80 sulle aree dimesse, sarebbe anche interessante valutare la possibilità di recuperare a fini abitativi molti immobili deserti. Questo non ostante la valutazione di Alessandro Balducci sulla sostanziale certa anti economicità di questo tipo di interventi (riconversione diretta da uffici ad abitazioni).
Anche gli investitori istituzionali privati come banche ed assicurazioni hanno abbandonato il loro patrimonio immobiliare, dimesso con forme selvagge che hanno premiato solo alcuni più fortunati. Infatti quelli fra gli inquilini che potevano rispondere ad offerte sostenibili, hanno acquistato, gli altri sono stati espulsi dalla speculazione successiva. E’ un segno della dimensione economica del problema della casa.
Permane una visione pessimistica sullo sviluppo della città, al di là delle volontà politiche che sarà possibile esprimere. Infatti il seguito del fenomeno di delocalizzazione descritto, sta nella sopravvivenza in città solo di una fascia di cittadini ricchi insieme ad una fascia di sostanziali manutentori della città stessa, al servizio delle attività economiche ed espositive e degli abitanti ricchi. Il ceto medio viene inevitabilmente espulso da una città nella quale la qualità della vita tende allo zero. La volontà politica delle amministrazioni passate si è esaurita nella politica degli annunci, e non ha capito che la qualità della vita non sta nel sistema del global service ma nel coinvolgimento dei cittadini.